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Che gente, signora mia…

Creato il 03 settembre 2013 da Alphaville

Sono stata molto contenta, una decina d’anni fa, scoprendo che la famigerata frase «Non hanno pane? Che mangino brioches!» attribuita a Maria Antonietta regina di Francia era in realtà un falso storico.
Meno male, mi son detta: Maria Antonia Josepha Johanna von Habsburg-Lothringen (questo il nome completo dell’infelice regina) sarà anche stata un po’ tonta — crimine certo gravissimo per chi deve reggere le sorti di un popolo — ma almeno non spietata.

A confermarmi nella mia simpatia per le rivoluzioni resta l’altra biasimevole frase, attribuita alla zarina Alessandra, che l’avrebbe pronunciata in occasione della “domenica di sangue”, il 9 gennaio 1905, a San Pietroburgo. Il paese era già una polveriera: nel 1904, seguendo l’improvvido consiglio di un ministro, lo zar Nicola II aveva scatenato “una piccola guerra vittoriosa” contro il Giappone per distrarre il popolo dai suoi problemi e compattarne le reazioni verso un nemico esterno — strategia vecchia e collaudata. Ma poiché lo zar propone e Dio dispone, la guerra non era stata né piccola né tantomeno vittoriosa: il Giappone aveva letteralmente umiliato la Russia, peggiorando la situazione interna. Così, sempre seguendo consigli improvvidi, Nicola aveva deciso di lasciare il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo per rifugiarsi nella più confortevole residenza di Tsarskoe Selo, a meno di trenta chilometri, onde evitare i rischi di un confronto diretto col popolo. Quella domenica una grande folla pacifica di circa 150.000 persone (perlopiù operai, con le loro donne e i loro bambini), guidate dal pope Georgij Gapon, si raccolse di fronte al Palazzo per consegnare al sovrano una petizione — meglio ancora sarebbe chiamarla “supplica”: in essa gli «operai, abitanti di Pietroburgo», si rivolgevano al “piccolo padre” (era questo l’appellativo tradizionale dello zar) definendosi «i miseri, gli schiavi oltraggiati, oppressi dal dispotismo e dall’arbitrio» dei funzionari statali e chiedendo al sovrano amnistia, libertà sociali, salario normale, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione di un’assemblea costituente sulla base del suffragio universale; la petizione si concludeva con un appello disperato: «Sovrano! Non rifiutarti di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che esiste fra Te e il Tuo popolo. Ordina e giura che i nostri voti saranno realizzati e Tu renderai felice la Russia; se non lo farai siamo pronti a morire qui. Noi non abbiamo che due vie: o la libertà e la felicità o la tomba». Ebbero la tomba — ulani e cosacchi avevano l’ordine di sparare ad altezza d’uomo, e lo fecero. Sul terreno restarono un migliaio di morti e quasi il doppio di feriti, senza riguardo all’età o al sesso. Mentre si consumava la rottura insanabile tra lo zar e il suo popolo, si dice che la zarina Alessandra commentasse sprezzante «Vadano a lavorare, questi perdigiorno!». Sono voci — il fatto, invece, è che (assai verosimilmente) senza San Pietroburgo nel 1905 non ci sarebbe stata Ekaterinburg nel 1918.

Come che sia, son cose che credevo relegate a un altro secolo e persino a un altro millennio. Invece ieri sera mi sono imbattuta in tale Marisela Federici. Il link che ho messo riporta alcune perle di costei, ma ne dimentica una: all’intervistatrice che le ricorda come in Italia oggi ci sia gente che si suicida a causa della crisi, questa creatura chimerica a metà fra la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare e la contessa D’Amatrice ribatte «non voglio essere cinica, ma questa è gente che ha un altro tipo di problemi, problemi più mentali che reali, economici… sono persone che hanno già qualche tara mentale che li porta a  gesti disperati… lavorassero un po’ di più questi che si lamentano tanto…».
Ora, io non conosco codesta dama; e per nascita e scelte di vita sono (quasi) certa che mai mi capiterà di incontrarla. Tuttavia mi sento di poter dire, a pelle, che una così la vedrei di un gran bene insieme alla regina francese e alla zarina russa. Ma proprio insieme, eh? In comunità d’ideali e di destino.


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