Sono stata molto contenta, una decina d’anni fa, scoprendo che la famigerata frase «Non hanno pane? Che mangino brioches!» attribuita a Maria Antonietta regina di Francia era in realtà un falso storico.
Meno male, mi son detta: Maria Antonia Josepha Johanna von Habsburg-Lothringen (questo il nome completo dell’infelice regina) sarà anche stata un po’ tonta — crimine certo gravissimo per chi deve reggere le sorti di un popolo — ma almeno non spietata.
A confermarmi nella mia simpatia per le rivoluzioni resta l’altra biasimevole frase, attribuita alla zarina Alessandra, che l’avrebbe pronunciata in occasione della “domenica di sangue”, il 9 gennaio 1905, a San Pietroburgo. Il paese era già una polveriera: nel 1904, seguendo l’improvvido consiglio di un ministro, lo zar Nicola II aveva scatenato “una piccola guerra vittoriosa” contro il Giappone per distrarre il popolo dai suoi problemi e compattarne le reazioni verso un nemico esterno — strategia vecchia e collaudata. Ma poiché lo zar propone e Dio dispone, la guerra non era stata né piccola né tantomeno vittoriosa: il Giappone aveva letteralmente umiliato la Russia, peggiorando la situazione interna. Così, sempre seguendo consigli improvvidi, Nicola aveva deciso di lasciare il Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo per rifugiarsi nella più confortevole residenza di Tsarskoe Selo, a meno di trenta chilometri, onde evitare i rischi di un confronto diretto col popolo. Quella domenica una grande folla pacifica di circa 150.000 persone (perlopiù operai, con le loro donne e i loro bambini), guidate dal pope Georgij Gapon, si raccolse di fronte al Palazzo per consegnare al sovrano una petizione — meglio ancora sarebbe chiamarla “supplica”: in essa gli «operai, abitanti di Pietroburgo», si rivolgevano al “piccolo padre” (era questo l’appellativo tradizionale dello zar) definendosi «i miseri, gli schiavi oltraggiati, oppressi dal dispotismo e dall’arbitrio» dei funzionari statali e chiedendo al sovrano amnistia, libertà sociali, salario normale, passaggio graduale della terra al popolo, convocazione di un’assemblea costituente sulla base del suffragio universale; la petizione si concludeva con un appello disperato: «Sovrano! Non rifiutarti di aiutare il Tuo popolo! Abbatti il muro che esiste fra Te e il Tuo popolo. Ordina e giura che i nostri voti saranno realizzati e Tu renderai felice la Russia; se non lo farai siamo pronti a morire qui. Noi non abbiamo che due vie: o la libertà e la felicità o la tomba». Ebbero la tomba — ulani e cosacchi avevano l’ordine di sparare ad altezza d’uomo, e lo fecero. Sul terreno restarono un migliaio di morti e quasi il doppio di feriti, senza riguardo all’età o al sesso. Mentre si consumava la rottura insanabile tra lo zar e il suo popolo, si dice che la zarina Alessandra commentasse sprezzante «Vadano a lavorare, questi perdigiorno!». Sono voci — il fatto, invece, è che (assai verosimilmente) senza San Pietroburgo nel 1905 non ci sarebbe stata Ekaterinburg nel 1918.
Come che sia, son cose che credevo relegate a un altro secolo e persino a un altro millennio. Invece ieri sera mi sono imbattuta in tale Marisela Federici. Il link che ho messo riporta alcune perle di costei, ma ne dimentica una: all’intervistatrice che le ricorda come in Italia oggi ci sia gente che si suicida a causa della crisi, questa creatura chimerica a metà fra la contessa Serbelloni Mazzanti Viendalmare e la contessa D’Amatrice ribatte «non voglio essere cinica, ma questa è gente che ha un altro tipo di problemi, problemi più mentali che reali, economici… sono persone che hanno già qualche tara mentale che li porta a gesti disperati… lavorassero un po’ di più questi che si lamentano tanto…».
Ora, io non conosco codesta dama; e per nascita e scelte di vita sono (quasi) certa che mai mi capiterà di incontrarla. Tuttavia mi sento di poter dire, a pelle, che una così la vedrei di un gran bene insieme alla regina francese e alla zarina russa. Ma proprio insieme, eh? In comunità d’ideali e di destino.