Ci sono tantissime signore agli angoli delle strade di Sofia che vendono fiori, freschi e coloratissimi, mazzettini per uno o due leva, niente di più, mazzettini che portano in mano tutti indistintamente: il bimbo col cappellino con le orecchie che a stento Sto arrivando! camminare, la ragazza con i capelli rasati e gli auricolari, l’uomo in giacca e cravatta, il vecchio con le scarpe consumate e la busta lisa del Billy sotto la metro con tutto il suo mondo dentro.
Sofia è poco illuminata la sera, pochi lampioni per strada, poche luci alle finestre, solo la luce gialla che illumina le cupole dorate della cattedrale, vicino alla quale passo alle 6 ogni sera, senza mai programmarlo e per tre sere mi godo il suono pieno è sempre diverso delle campane che suonano. Don don profondi come solchi, din din acuti e veloci.
Il centro di Sofia lo giriamo a piedi: è tutto a portata di sguardo da un capo all’altro del buolevard che attraversa ministeri, palazzi del governo, chiese, moschee e sinagoghe, con un cielo blu tersissimo fatto apposta per incorniciare le cupole dorate delle chiese.
A Sofia mangiamo bene e mangiamo tanto, torniamo due volte nello stesso ristorante a ordinare tutto quello che la sera prima non abbiamo ordinato. Potremmo farlo per almeno altri 5 giorni e non ci stancheremmo mai. E sarebbero sempre sapori forti e diversi e io sarei sempre sazia e contenta.
Provo a riparlare in russo e mi riesce male, ma comunque percepisco che non gradiscono i miei sforzi e mi concentro per provare a capire i discorsi che le persone fanno tra di loro e provare a portarmi a casa un pezzetto delle loro vite, della mamma che tiene per mano la figlia in metro e con la quale scambio qualche sorriso e qualche smorfia, delle signore in fila alla cassa del Lidl che mi guardano di sottecchi mentre leggo le scritte sulle scatole di preservativi alla fragola, del vecchio che suona al flauto l’Ave Maria e finisce diligentemente la sequenza prima di salutare un altro vecchio che gli si affianca.
Alcune persone ci guardano e ridono, di noi? con noi? Fatto sta che ridiamo un sacco nei musei, tra le statue di Lenin tutte raccolte in un parco nascoste dalla città, nel Palazzo della Cultura che sembra pari pari l’atmosfera del partito negli anni 80, almeno così me la immagino, quando alle convention si parlava del futuro ma in realtà era già passato. E questo palazzo, enorme, fuori scala è cupo nonostante le vetrate che ne ricoprono le facciate e noi siamo dentro e ridiamo e scherziamo ed è chiaro che nessuno dei presenti capisca esattamente cosa stiamo facendo lì.
Fuori dal centro i palazzi diventano palazzoni intervallati da strade e sopraelevate a scorrimento veloce, strade senza marciapiedi, grattacieli moderni e tutte le statue di Lenin raccolte in giro per la Bulgaria e messe tutte quante insieme in un giardino. Le attraversiamo ridendo, ridendo cerchiamo di capire le vignette satiriche appese nel museo, senza leggere le scritte, solo guardando i disegni. Quasi tutte raffigurano ladri e puttane.
Mangiamo di nuovo bene e mangiamo di nuovo tanto, così come ridiamo e beviamo bene. È il nostro pranzo di pasqua e siamo la nostra famiglia. Certe cose sono belle e basta senza tanti fronzoli, in qualsiasi posto del mondo. Anche alle pendici di una montagna fuori Sofia dove una settimana prima di pasqua gli ortodossi vanno in pellegrinaggio a portare mazzettini di fiori e le ragazza indossano coroncine fatte con i rami dei salici piangenti della città.
La mattina dopo ci svegliamo con i tetti e le sculture dell’accademia innevati, così come le teste e i mantelli di Cirillo e Metodio davanti alla biblioteca nazionale. Nevica ma le signore agli angoli delle strade continuano a vendere fuori e piccole uova di Pasqua di legno da appendere in casa per tutta la settimana.
Ci salutiamo alla metro sotto un po’ di neve, ciao Sofia e ciao amore, ci vediamo stasera a casa.
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