Mi è capitato di ritornare più volte sull’argomento “letture scolastiche”. Quando si avvicina l’estate, poi, c’è sempre qualche mamma che considera i libri “per le vacanze” assegnati dai docenti troppi, troppo noiosi, troppo vecchi, troppo lunghi. E allora, considerato che sono una pasionaria dei grandi classici, sento sempre il dovere di intervenire in difesa (pare ridicolo dirlo ma accade) di Anna Karenina o Renzo e Lucia.
Ho riflettuto a lungo specie sulla proposta/desiderio di alcuni genitori che i ragazzi potessero essere lasciati liberi di scegliere le proprie letture, preferendo alle indicazioni degli insegnanti il proprio gusto o la moda del momento. Ci sarebbe da disquisire, e a lungo, sulla formazione del gusto letterario, e sulle mode del momento. Immagino la terribile evenienza che il buon vecchio Alessandro e il caro Lev siano scalzati da Federico (Moccia) o Fabio (Volo) e rabbrividisco; e nel riflettere la domanda che mi pongo è: perché a una lista di grandi classici non si accosta una selezione di titoli contemporanei di modo che i ragazzi possano apprezzare, scoprire e confrontare e che la presenza di titoli freschi (non solo di stampa) possa indurre alla lettura più partecipe ed entusiasta dei temibili classici?
Altra obiezione è che i ragazzi abbiano poco tempo da dedicare alla lettura, considerato quanto debbano studiare. Io ritengo che avendo scelta e varietà i ragazzi abbiano anche modo e tempo per autogestirsi.
Certo i docenti dovrebbero cercare di tenere il passo e districarsi nella varietà (di qualità) delle nuove pubblicazioni e dei nuovi autori (e qui sarebbe doveroso aprire una parentesi altrettanto lunga e delicata)…
Tutto questo per dire che tra i titoli per ragazzi di buone letture ce ne sono moltissime, sebbene non facciano tendenza; l’ultima che ho avuto modo di apprezzare è stata Pampa Blues. Rolf Lappert, l’autore, è tedesco e proprio in un paesino del nord della Germania fa muovere pochissimi protagonisti con una disinvoltura e un effetto sceneggiato che induce alla figurazione filmica. Ci si immaginano i luoghi, ci si immaginano altrettanto facilmente le facce. Prima tra tutte quella di Ben, il giovane protagonista. Ben ha 16 anni (quasi 17) e vive a Wingroden con il nonno affetto da Alzheimer, del quale si prende cura completamente da solo. La madre, infatti, è sempre in giro per l’Europa perché cantante jazz di discreta fama e il padre, figura sublimizzata e probabilmente sublime, è morto quando Ben aveva otto anni mentre era in viaggio in Africa. Ben insegue egli stesso il sogno di viaggiare in Africa, abbandonando Wingroden, a bordo del suo pulmino Volkswagen che con le sue mani, avendo un talento per la meccanica, sta rimettendo in sesto; per questo legge, si documenta, studia. Il nonno Karl, non fosse malato, avrebbe dovuto insegnargli a diventare un bravo giardiniere ma la malattia ne ha rosicchiato la memoria e ha rosicchiato il tempo del ragazzo, completamente dedito alla cura del nonno e ai suoi sogni.
L’atmosfera in cui i bislacchi protagonisti vivono è quella un po’ rarefatta e un po’ liquida in cui ci si può imbattere d’estate, sull’asfalto caldo. I pochi profili si mescolano in un unico interesse: Wingroden. Anagrammando il tedesco il risultato è Nirdendwo (in nessun luogo), e così sembra essere questo luogo senza un posto, fuori dall’immaginazione e dall’immaginario del reale. Perché allora un ricco, strambo e generoso; un appassionato di film melodrammatici e innamorato apparentemente senza speranza; un povero folle passato attraverso la guerra; una parrucchiera affascinante e dedita al marito e un vecchio demente vogliono vivervi così fermamente? Perché scegliere l’immobilità di un paese che sembra il set abbandonato di un film?
Ciascuno a modo suo ha ritagliato il proprio spazio laddove sembrerebbe non essercene, ed è faticoso immaginarli altrove; anche Ben, che aspira alla fuga verso l’Africa si muoverebbe di fatto da una condizione di solitudine, di distanza dai propri coetanei, a un’altra, certamente più avventurosa, comunque solitaria.
La prima parte del romanzo è vibrante di ironia; toccante di un realismo esasperato ma per nulla patetico; ho trovato ogni pagina ugualmente avvincente nella semplicità dei fatti e nell’efficacia della narrazione. La seconda parte, o meglio, dal momento in cui alla vicenda principale si incrocia quella secondaria, l’intensità della prima si attenua ma non si spegne del tutto, per poi tornare a vivificarsi in una conclusione sospesa e affatto banale.
Il blues del titolo pervade tutto il romanzo: nelle descrizioni dei luoghi; nelle idee strampalate, quali quella portante di fingere l’avvistamento di un ufo per suscitare curiosità e attrarre turisti a Wingroden; nella ferma malinconia dei protagonisti; nei tocchi brillanti e vivaci del dinamismo, dell’amore, dell’entusiasmo e della generosità che, ciascuna in modo diverso e con diversi risultati, si applicano ad ogni protagonista.
La narrazione in prima persona è asciutta e incalzante sebbene il suono che ne risulta sia come dilatato, morbido, blues.
Maslow esce con due bottiglie di birra e si siede accanto a me. Per un po’ restiamo in silenzio a bere birra con gli occhi al cielo. “Tu credi che lassù, da qualche parte, ci sia vita?” mi chiede Maslow a un certo punto. “Non credo che ci sia vita neppure quaggiù,” dico.
Autore: Rolf Lappert
Editore: Feltrinelli Kids
Dati: 2013, 224 pp., 14,00 €