L'uscita di Monti sul lavoro precario non ha sortito buoni effetti; per ora molte polemiche, [qui alcune reazioni], e c'è da credere che se ne parlerà ancora. Il tema, infatti, è molto importante e si concentra su una questione dirimente. Le polemiche sono giustificate. Soprattutto, non penso sia uno scandalo dirlo, perché non è così manifesto il collegamento tra la precarizzazione (o la precarietà, a seconda di chi si ritiene l'artecife) e il rilancio dell'economia. E non si capisce così bene come trasformare la mobilità del lavoro italiano possa essere coerente con le liberalizzazioni, se non nella misura di abbandonare i lavoratori a loro stessi. Parlare di monotonia oggi in cui il lavoro non c'è, non può non sembrare fuori luogo. Il problema economico principale è l'incapacità di risollevare un'economia affaticata e in una profonda crisi sistemica; perché non scappiamo, la questione di fondo è piuttosto sistematica che non contingente. E se si può accusare Berlusconi, lo si può fare perché ha avuto il potere politico ed economico in mano negli ultimi 30 anni.
Prima di ogni giudizio, però, credo sia necessario ascoltare tutto il ragionamento di Monti.
Io credo che inserita nel suo contesto la frase non sia particolarmente scandalosa, anche se ha ragione Padellaro quando ritiene che da un premier così sobrio non ci si aspettano uscite di tale ineleganza.
Monti esprime una grande verità, al di là della battuta: occorre tutelare chi è meno tutelato. E questo credo sia un punto fondamentale della riforma del lavoro in una società in cui per i giovani c'è pochissimo spazio e in cui quando si perde un lavoro non si riesce a ottenerne un altro. L'aver fissato la mobilità sulla precarietà non ha migliorato il mercato del lavoro e, dopo 10 anni lo possiamo dire, non ha certo aiutato l'economia italiana!
Non credo, però, che il messaggio di Monti sia quest'ultimo. E di certo non può essere il suo obiettivo, perché i suoi - indegni - predecessori hanno fatto della precarietà un cavallo di battaglia, liberalizzando solo questa parte del sistema economico. La vera sfida è liberare il mercato del lavoro dai lacci che lo tengono inchiodato ad un sistema che sfrutta la precarietà del lavoratore, la sua insicurezza.
E se Monti, parlando di aumentare le tutele, intende superare la precarietà, allora va aiutato nel suo operato. Con questo obiettivo, infatti, la mobilità non è più uno scandalo, ma è la possibilità di lavorare di più e in modalità differenti senza legami contrattuali fissi. Equipararla alla precarietà è stato l'errore fatale; perché con quest'ultima si è ridotto il lavoro ad uno stato di incertezza e semischiavitù. Può anche essere bella la mobilità, ciò non significa che l'insicurezza del proprio lavoro lo sia.
Va bene la prima, se non si accompagna alla seconda. Va bene se è tutelata!
Aggiungo un'ultima cosa: preferisco valutare un politico per le cose che fa in Parlamento o nei palazzi del governo, piuttosto che per quanto dice in televisione al giornalista incapace di turno. Perché si vede cosa porta questo giornalismo: dall'incapacità di fare un titolo all'incapacità di capire un messaggio.