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Trovo, però, che, tra tutte quelle citate e mille altre mie follie, Il vecchiotto cerca moglie sia centrale. La butto quì così: come aveva fatto Cherubino nelle Nozze di Figaro di Mozart, Berta si interroga su cosa sia l'amore, che fa uscir tutti di senno, su cosa sia questa forza che anche lei prova e di fronte alla quale anche lei soccombe. Proprio Berta, appunto, è la risposta di Rossini al collega austriaco: Cherubino, l'eroticissimo ragazzino en travesti, non diverrà Don Giovanni, il collezionista sprezzante d'amore, anch'egli incredulo e incapace di afferrarlo, ma sarà ancora, da vecchia, alle prese con quest'energia oscura che la brucia dall'interno. Se solo si restituisse alla filologia il suo ruolo di storia, non potrebbe essere d'ostacolo la precedenza narrativa da attribuire al Barbiere di Rossini rispetto alle Nozze di Mozart: conterebbe, come infatti conta nel cuore degli ascoltatori, solo lo sviluppo di certi temi e di certi personaggi nel tempo.
Tra l'altro, Berta ha anche ragione: ma che cos'è quest'amore... una smania, un pizzicore, / un solletico, un tormento, questo demone si è impossessato di tutti attorno a lei, ma lei rimane bloccata, incapace di reagire e di trarne vantaggio, arrendendosi alla vecchiaia... mi convien così crepar. Berta sembra l'unica a sentire l'urgenza dell'amore, che invece gli altri indossano come una parrucca: basta un barbiere e una spuntatina e tutto torna a posto. O no? Non sempre...
Il Barbiere di Siviglia è una macchina rodata come una commedia plautina, con tutti gli ingredienti del caso, con in più il brio insostituibile di Rossini. Il Barbiere è una pura e semplice occasione di felicità. Lo sarebbe stato perfino se il progetto scherzoso di una vecchia Teresa Berganza fosse andato in porto: riproporre un'edizione storica, una delle più belle. Ma non lo è quando si vuole far conto su una regia cervellotica e concettosa, più ancora che complessa e barocca, e su un cast spento.
Non che l'allestimento di Francesco Micheli sia stupido: tutt'altro, ci sono intuizioni geniali e buone trovate, ma non è né innovativo né immediato. Lo si vede nella scena dell'incontro tanto atteso tra Rosina e il Conte d'Almaviva, dove i movimenti scenici sono semplici e perfetti con una sobrietà incantevole che fa da contrappeso al frenetico agitarsi in scena di significati più o meno occulti. Né la bacchetta di Michele Mariotti è da biasimare: non mi interessa di chi sia figlio, nipote o comunque parente questo direttore, ha confermato le doti che gli ho riconosciuto nella diretta radio dal ROF quest'estate: solo che l'orchestra non l'ha seguito e il tutto, nonostante lo sforzo comune, aveva toni spenti e smorzati. Nn ci si può annoiare col Barbiere, eppure io, e non solo io, ho sbadigliato e guardato l'orologio in continuazione. Non so dirlo in altro modo: mancava di mordente, di presa.
E dire che i cantanti si sono spesi: discreto e agile, ottimo nel timbro, il Figaro di Fabio Capitanucci, ricca di volume e di note la Rosina di Ketevan Kemoklidze, senz'altro divertentissimo il don Bartolo di Nicola Alaimo, mentre le imprecisioni e un'intonazione - spero occasionalmente - non perfetta hanno danneggiato il pur bel timbro di Dmitry Korchak, nel ruolo del Conte di Almaviva / Lindoro. Vorrei capir qualcosa in più di musica per dire cosa non abbia funzionato stasera (e, da quel che ho sentito in giro, anche nelle altre sere): mi terrò, invece, le mie considerazioni e il brio di Rossini, rimpiangendo lo spreco così palese di una simile scusa per esser felici.
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