Magazine Cinema
di Ettore Scola (Italia, 2013)
con Tommaso Lazotti, Giacomo Lazotti, Vittorio Viviani, Emiliano De Martino, Sergio Rubini, Andrea Salerno, Pietro Scola
durata: 93 min.
★★★★☆
"Un film emozionante". Parola di Giorgio Napolitano, presente in sala a Venezia come cinefilo-doc e accolto con una standing ovation dal pubblico della Sala Grande. E anche in fatto di cinema il Presidente si è dimostrato tutt'altro che uno sprovveduto: in effetti la sua battuta è la migliore delle recensioni per questo piccolo film, voluto fortemente da una coppia di produttori coraggiosi (Felice Laudadio e Franco Cicutto) che sentivano la necessità di celebrare nel modo 'giusto' il ventesimo anniversario della morte di Federico Fellini, e che ha commosso fino alle lacrime la platea veneziana.
Commozione ed emozione tutt'altro che scontata, perchè non era affatto facile riuscire nell'intento di commemorare adeguatamente il Maestro e, allo stesso tempo, confezionare un prodotto non banale e che non (s)cadesse nella retorica.
Anche la scelta di affidarne la regìa all'ottantaduenne Ettore Scola si è rivelato un atto di coraggio: nonostante l'anziano regista non girasse un film intero dal 2001, Laudadio e Cicutto hanno ritenuto che un film del genere non potesse essere diretto che dalla persona che conosceva Fellini meglio di chiunque altro. Scola è stato amico, confidente, collega e perfino regista del maestro riminese, e nessuno meglio di lui poteva girare una pellicola che alterna in modo sapiente ironia e commozione, agiografia e irriverenza, scegliendo di mostrare principalmente un Fellini agli esordi della carriera, esattamente dal momento del suo arrivo a Roma come vignettista del Marc'Aurelio, storica testata satirica dell'epoca fascista e fucina di futuri talenti del grande cinema italiano (in quella redazione c'era gente come Steno, Zavattini, Bava, Age e Scarpelli...)
L'idea di Scola è semplice: evitare una patinata operazione nostalgia ("nemmeno Federico l'avrebbe voluto") e fotografare un Fellini inedito e sconosciuto ai più: giovane e sognatore, idealista e romantico, timido e gentilissimo con le donne e con gli amici, che sapeva mettere tutti a suo agio senza però farsi mettere i piedi in testa da nessuno. E subito disponibile ad accogliere un ragazzo appena un po' più giovane di lui, ma con la stessa spensieratezza e voglia di cimentarsi nel lavoro più bello del mondo: fu proprio grazie alla frequentazione con Fellini al Marc'Aurelio che Scola, arrivato in redazione appena quindicenne, apprese i rudimenti del mestiere e gettò le basi per un'amicizia che sarebbe durata fino alla morte del Maestro.
Il film è un susseguirsi di fiction e immagini di repertorio, alternando bianco e nero e colore, sempre sospeso tra poesia e racconto. Certo lo stile di Scola (e soprattutto i suoi tempi filmici) sono un po' desueti, e in certi parti la narrazione assomiglia più a un buon sceneggiato televisivo piuttosto che a un film, ma Che strano chiamarsi Federico ha il merito di riportarci indietro nel tempo all'età d'oro del cinema italiano, e di far conoscere quell'epopea ai giovani spettatori (che speriamo trovino il tempo, la voglia e gli stimoli per andare a vederlo). Un'epoca forse irripetibile, inimmaginabile ai tempi nostri, di cui queste immagini e questo film contribuiscono a tenere vivo il ricordo. E che anche solo per questo merita la visione.
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