Di Paolo Gallazzi il 11 ottobre | ore 12 : 42 PM
Dopo gli scontri di domenica notte tra cristiani copti e esercito, che hanno causato la morte di 24 persone ed il ferimento di più di 200, resta alta la tensione al Cairo. Il governo egiziano nel tentativo di arginare le violenze ha deciso di adottare una serie di provvedimenti in favore della minoranza copta, presentando un progetto di legge che di fatto legalizza i luoghi di culto cristiani e prevede pene severe per i responsabili di atti di discriminazione religiosa.
Ma che cosa sta succedendo in Egitto?
Il vento della Primavera Araba sembrava aver spazzato l’odio ed i rancori che da secoli caratterizzavano i difficilissimi rapporti tra musulmani e cristiani d’Egitto (una minoranza che rappresenta il 10% circa della popolazione). “Cristiani e musulmani siamo una sola mano” era lo slogan che univa i fedeli dei due credo in un fronte comune contro la dittatura del “Faraone”. Ma una volta ribaltate le sorti del regime, venute meno le necessità di un’alleanza, si sono riaccese le divergenze, divenute più aspre ed esacerbate proprio dalla nascita di numerosi partiti (soprattutto d’impronta religiosa) che si contrappongono in vista delle prossime elezioni libere del Paese.
Basta poco, una scintilla, e l’incendio divampa. Letteralmente. La scorsa settimana, ad Edfu, nella provincia di Assuan, una chiesa copta costruita, a quanto pare, senza autorizzazione era stata data alle fiamme. L’episodio ha dato origine ad una manifestazione di protesta, al Cairo, con la quale i copti chiedevano le dimissioni del governatore della provincia di Assuan, ritenuto responsabile di aver esasperato la situazione ed istigato i musulmani della zona a compiere l’atto di devastazione del luogo di culto cristiano. Come si sia passati da una manifestazione pacifica alle scene di guerrilla urbana che hanno fatto il giro del mondo non è ancora chiaro. Stando al racconto di alcune fonti i manifestanti sarebbero stati fatti oggetto del lancio di pietre e successivamente di colpi di arma da fuoco da parte di alcuni elementi legati al partito del ex dittatore Hosni Mubarak o, secondo altri, alla Fratellanza Musulmana. Fonti diverse invece riferiscono che, mentre i soldati intervenivano per disperdere i dimostranti, qualcuno dall’interno del gruppo di manifestanti avrebbe aperto il fuoco contro i militari.
Comunque si siano generati gli eventi, l’escalation è stata impressionante. I soldati hanno iniziato a sparare ad altezza uomo ed ha caricare la folla con i mezzi blindati. Dal lungo Nilo gli scontri si sono ampliati fino a piazza Tahrir e davanti alla sede della tv di stato. Alcuni copti, impadronitisi di armi trafugate da un mezzo militare poi dato alle fiamme, avrebbero a loro volta aperto il fuoco contro i soldati. A questo punto alla battaglia si sarebbero uniti anche numerosi musulmani che, al grido di “Islam, Islam, Islam” avrebbe fronteggiato di cristiani copti che, dal fronte opposto, inneggiavano “Dio è con noi, Cristo è con noi. Loro vogliono che l’Egitto sia uno Stato islamico, ma noi non ci arrenderemo”.
Prima che la situazione sfugga completamente di mano il governo egiziano, riunito d’emergenza dal primo ministro Essam Sharaf, ha varato immediatamente alcuni provvedimenti nel tentativo di proteggere la minoranza copta presente nel Paese. Innanzitutto è stato presentato un progetto di legge per la legalizzazione dei luoghi di culto ancora senza licenza, una delle principali rivendicazione dei copti, poi reclusione e multe fino a 30 mila lire egiziane (circa 8 mila euro) per i responsabili di atti di discriminazione e la formazione di una commissione d’inchiesta che faccia luce sui fatti di domenica.
Intanto nel pomeriggio di ieri si sono svolti i funerali delle vittime degli scontri. La funzione è stata presieduta da papa Shenuda III, alla presenza, tra gli altri, di un nutrito gruppo di musulmani che ha espresso solidarietà con la minoranza duramente colpita.
E’ importante, tuttavia, ricordare che l’episodio di domenica, seppure il più sanguinoso ed eclatante, rappresenta la punta dell’iceberg di un problema radicato da generazioni nella società egiziana. Durante i secoli i copti hanno subito ondate di persecuzione da parte della maggioranza musulmana, per lo più passate sotto silenzio dal filtro della censura governativa all’epoca del regime di Mubarak ed in genere ritenute di scarso interesse dalla comunità internazionale. Ultimamente, però, le discriminazioni nei confronto della minoranza religiosa erano arrivate ad un punto tale da indurre (secondo fonti interne alla Chiesa copta) 100.000 cristiani ad un esodo dall’Egitto (un inquietante parallelismo biblico). Tuttavia la notizia non ha per il momento trovato conferma.
Ciò non toglie che quella dei cristiani copti in Egitto resta sempre un’emergenza ed alle soglie delle prime elezioni libere del Paese questa rappresenta una sfida che il governo egiziano non può permettersi di perdere, per l’affidabilità che la Nazione deve dimostrare a livello internazionale e per la stabilità interna, a rischio in un Paese che sta vivendo la propria fase di transizione democratica.