Notizie tragiche e dettagli raccapriccianti giungono da quel paese, ma è difficile distinguere tra verità e manipolazione, tra legittime proteste e infami tentativi di destabilizzazione. Può essere utile tuttavia guardare alla Siria a partire non dall’Occidente ma, ad esempio, dall’Irak. L’occasione ce la fornisce un articolo di Tim Arango sull’«International Herald Tribune» del 30-31 luglio. Leggiamo: «In Irak, la Siria rappresenta ancora qualcosa di simile a un’oasi. Gli irakeni cominciarono a rifugiarsi di là per sfuggire la guerra diretta dagli Usa e il susseguente bagno di sangue della violenza settaria. Nel corso della guerra, la Siria ha accolto circa 300 mila rifugiati irakeni, più di qualsiasi altro paese nella regione (a quello che riferisce l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati). In questi giorni, anche se la Siria deve fronteggiare i suoi disordini, sono pochi gli irakeni che ritornano in patria. In effetti, sono molto più numerosi gli irakeni che partono per la Siria di quelli che ritornano in patria». Gli irakeni fuggono non solo per lasciarsi alle spalle la guerra che continua a farsi avvertire, ma anche perché non ne possono più di un paese caratterizzato dall’inefficienza e dalla corruzione dei servizi pubblici. Sì, «la Siria viene vista come un paese migliore in cui vivere». Interrogati dall’«International Herald Tribune», gli irakeni si esprimono con semplicità ed efficacia. Con riferimento alla Siria dicono: «Là la vita è bella, là le donne sono belle» (non c’è l’obbligo del velo). In ogni caso, «c’è una cosa importante: libertà e sicurezza dappertutto». E’ a partire da questa diffusa convinzione che, «a causa delle vacanze estive, è cresciuto il numero delle persone che abbandonano l’Irak per la Siria». Ma cosa riferiscono coloro che già si sono stabiliti in quel paese (presumibilmente nelle regioni più tranquille)? Interrogato sempre dal quotidiano statunitense, un irakeno testimonia: sì, alla televisione lo spettacolo che viene offerto della Siria è assai inquietante, ma «quando telefono alla mia famiglia, mi dicono che tutto è ok»! E’ probabile che il quadro qui tracciato sia unilaterale e roseo in modo eccessivo. Ma coloro che, dopo aver scatenato la guerra e aver provocato direttamente o indirettamente decine e decine di migliaia di morti, hanno ridotto l’Irak in condizioni ancora oggi così catastrofiche da far apparire la Siria come un «oasi», costoro non hanno lezioni da impartire né ad un paese né all’altro. Per restare in Medio Oriente: coloro che, mentre continuano a bombardare la Libia, senza esitare a massacrare i giornalisti e i tecnici della televisione di quel paese, pretendono di dare lezioni sui «diritti umani» e sognano una nuova «guerra umanitaria», costoro dimostrano di aver smarrito persino il senso del pudore e del ridicolo.
1 agosto 2011