di Rina Brundu. Vedere un film in un cinema italiano è, per chi viene dall’estero, un’esperienza per certi versi sconcertante. A parte gli schermi veramente piccoli (parlo in questo caso dei cinema Uci a Torino), mi ha colpito l’ora di pubblicità che precede la programmazione e che ti fa venire voglia di prendere borse e borsette e di andartene via avendo scordato perché ti trovi sul posto. Ancora peggio è l’interruzione in medias res; un intervallo anti-catartico, eseguito a freddo senza nessun rispetto per l’opera mandata in onda e per chi ha pagato il biglietto.
Muovendo oltre queste considerazioni operative, il film di cui vorrei parlare in questa occasione è il fenomeno da botteghino “Sole a catinelle” di Checco Zalone. Che dire? Alla peggio una commedia mal riuscita, alla meglio una favola moderna. Il problema principale di questo lavoro è il suo esistere come mero tessuto narrativo epidermico privato di profondità a qualsiasi livello e sotto qualsiasi punto di vista. Manca uno sceneggiatore, manca una mente capace di creare un plot degno di questo nome e di fare vivere questo plot oltre le sue esigenze manieristiche, estetiche e di commitment mordi-e-fuggi (dopo avere incassato il dinero, si intende!).
Talmente misera è la trama che stare qui a discuterne sarebbe inutile; preferisco invece spostare l’attenzione sull’unico elemento che dentro il deprimente contesto appena descritto riesce comunque a fare una differenza, ovvero il fenomeno Checco Zalone. Non vi è alcun dubbio infatti che la key-feature che riesce a tenere insieme, in maniera molto convincente, questo curioso mix di immagini filmate sia l’indubbia vis comica dell’attore pugliese. Certo, descriverne i punti di forza non è facile, oltre ad una data capacità mimica è infatti quasi impossibile dire quale sia il quid che rende il comico Zalone così particolare ma è indubbio che quel quid esiste ed è quel quid che, a fine serata (amministratori UCI permettendo), ti permette di lasciare la sala cinematografica se non contento almeno non troppo incazzato.
Naturalmente ti viene anche il dubbio che un giorno o l’altro l’effetto comico procurato dall’apologia del turpiloquio che Checco Zalone mette in scena ad ogni occasione, con consumata maestria e indubbia bravura, possa finire e a quel punto non è peregrino speculare se ciò che resterà sarà sufficiente a giustificare un qualsiasi claim-to-glory; tuttavia, basta soltanto pensare alla straordinaria imitazione del radical-chichissimo Nichi Vendola, che il comico pugliese ha fatto in infinite occasioni, per perdonargli tutto, ma davvero tutto. Ragion per cui, long live Checco Zalone, patrimonio dell’umanità!
Featured image, locandina. Sotto, you-tube link, Zalone imita Vendola (da Ballarò).