Chef (2012, tit. or. Comme un chef) di Daniel Coen è una divertentissima favola moderna, un inno al lieto fine e al buon umore. A patto di non farsi coinvolgere dal desiderio di originalità, di personaggi a tutto tondo, di uno sviluppo lineare della trama, di un'accanita e filologica coesione, credo che lo spettatore curioso o appassionato trovi in Chef tante - e giustissime - ragioni di spasso.
Protagonista assoluta del film è la cucina, a differenza di quanto accada in altri titoli (come Sapori e dissapori): è talmente protagonista che, agli altri elementi della trama, personaggi compresi, viene lasciato il loro giusto spazio, senza incertezze o indebite ombreggiature. È per la cucina che vive Alexandre Lagarde (Jean Reno), dimenticando tutto il resto, famiglia in primis: chef famosissimo e "stellato", difende la propria posizione e la propria cucina (tutt'altro che nouvelle, diciamolo), nonostante l'arroganza macchiettistica del manager del ristorante, Stanislas (Julien Boisselier). Jacky Bonnot (Michaël Youn), per conto suo, è impastato con la cucina, ciò che lo rende dogmatico e permaloso, dunque una palla al piede per i datori di lavoro che vogliono compiacere - non educare - i gusti dei clienti (per beceri che siano); l'uomo, però, deve combattere con sé stesso per garantire un minimo di sicurezza e appoggio alla propria compagna Béatrice (una Raphaëlle Agogué molto bella), incinta. Il loro incontro casuale determinerà l'esito della commedia e porterà i numerosi comprimari al più zuccheroso lieto fiine, attraverso una serie di gag a volte esilaranti, con punte demenziali che, come spesso accade nel cinema francese, qui non mi disturbano affatto, anzi alleggeriscono il film da emotività e intellettualismo fuori luogo.
Alexandre e Jacky sono su posizioni sociali, culturali ed economiche diverse: ma non sono la capacità a determinare la gerarchia (e, tutto sommato, neanche l'esperienza anagrafica dell'uno sull'altro): film centratissimo sulla cucina, si diceva, Chef è anche un film sul lavoro tout-court e sulla fortuna che arride o non arride un po' a capriccio, e comunque sostanzialmente senza moralismo. Pur di mantenere preminenza tematica, contenutistica e narrativa, Daniel Coen (regista e sceneggiatore) non ha esitato a semplificare alcuni problemi (i protagonisti provengono da un contesto comunque alto-borghese o ci vivono immersi) o a tingere di macchiettismo personaggi e situazioni, pur mantenendo credibili gli uni e le altre.
Per esempio, Chef non è un film in cui la preparazione dei cibi sia centrale in termini di ricette o procedure (come in Julie & Julia, per intenderci, e in parte come in Ratatouille). Abbiamo qui una commedia nella quale, dagli ingredienti base ai piatti finiti (tutti splendidi a vedersi, nulla da invidiare alle creazioni di Cracco per Io sono l'amore), si vive una splendida avventura umana. L'aria di familiarità della vicenda è dovuta all'affiatamento dei due protagonisti, rispetto ai quali gli altri personaggi appaiono un po' scollati, su un altro piano (come sottolineano anche le brevi incursioni dietro la telecamera per la trasmissione di cucina, che dà la temperatura di un rapporto e delle sue dinamiche interne). Si enuclea così un altro tema, stavolta non accessorio o abbozzato: la fedeltà reciproca tra i due, ma anche quella rispetto a chi si è sempre stati e a chi si può essere, per ciò che si può fare.