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Chelazione del ferro e sclerosi multipla

Creato il 03 marzo 2014 da Yellowflate @yellowflate

ASNE’ stato pubblicato sulla rivista scientifica ASN Neuro un interessante articolo intitolato “Chelazione del ferro e sclerosi multipla“.

Secondo alcuni ricercatori americani, studi istochimici e di risonanza magnetica (MRI) hanno dimostrato che i pazienti con SM (sclerosi multipla) hanno depositi anormali di ferro in entrambe le strutture della materia grigia e bianca. I dati che stanno emergendo indicano che questo ferro può partecipare alla patogenesi con vari meccanismi, ad esempio, promuovendo la produzione di specie reattive dell’ossigeno (radicali liberi) ed aumentando la produzione di citochine pro-infiammatorie. La terapia ferrochelante potrebbe essere una strategia praticabile per bloccare gli eventi patologici correlati al ferro o può conferire protezione cellulare stabilizzando il fattore di trascrizione HIF1α, un fattore di trascrizione che risponde normalmente alle condizioni di ipossia. La chelazione del ferro è stata dimostrata nel proteggere contro la progressione della malattia e/o limitare l’accumulo di ferro in alcuni disturbi neurologici o nei loro modelli sperimentali. I dati provenienti da studi che somministravano un chelante agli animali con encefalomielite autoimmune sperimentale, un modello di SM, sostengono le motivazioni di esaminare questo approccio terapeutico nella SM. Studi clinici preliminari sono stati condotti nei pazienti con SM con la deferoxamina. Anche se sono stati osservati alcuni effetti collaterali, la grande maggioranza dei pazienti era in grado di tollerare il duro regime di somministrazione, cioè 6-8 ore di infusione sottocutanea, e tutti gli effetti collaterali si sono risolti con l’interruzione del trattamento. È importante sottolineare che questi studi preliminari non hanno individuato un evento dequalificante per questo approccio sperimentale. I chelanti più recentemente sviluppati, deferasirox e deferiprone, sono più appropriati per un possibile uso nella SM data la loro somministrazione per via orale, e, soprattutto, il deferiprone può attraversare la barriera emato-encefalica. Tuttavia, secondo gli autori, le esperienze da altre condizioni indicano che il rischio di eventi avversi durante la terapia chelante richiede un attento monitoraggio del paziente ed un regime di somministrazione attentamente ponderato.

Fonte: http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24397846


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