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Cherry la misericordiosa (Strip Club: a love story)

Da Emanuelesecco
Oggi è il turno del mio racconto, presentato sempre per il concorso, ormai annullato, Strip club: a love story.
Non mi resta che augurarvi buona lettura!
sottofondi consigliati: Chingon - Cherry's Dance of Death & Edith Piaf - Non Je Ne Regrette Rien
Cherry la misericordiosa (Strip Club: a love story)
Cherry la misericordiosa di Emanuele Secco
-Proprio sicuro di non volerne approfittare?-
Silenzio. Solo il ronzio dei neon in sottofondo.
-Io proprio non vi capisco a voi uomini. Fate tanto i duri, vantandovi delle vostre imprese, ma appena vi si presenta l'occasione di avere un po' di fica facile vi tirate indietro.-
Ancora silenzio. Lui la guardò di sottecchi. Un accenno di sorriso gli deformò le labbra.
-Allora?- lo incalzò lei. -È un'ora che ce ne stiamo qui in silenzio. Vuoi dirmi qualcosa?-
Nessuna risposta. Quel silenzio la stava facendo innervosire. Non era così che era abituata a trattare con gli uomini. Era sempre molto semplice: loro la pagavano e lei ballava, poi se il cliente scuciva un bel po' di verdoni, e succedeva quasi sempre, si passava a qualcosa di più interessante. L'agente che aveva davanti, al contrario, sembrava essere fatto di ferro. Nessuno sguardo voglioso, nessuna occhiata furtiva alla sua abbondante scollatura. Niente di niente.
-Possibile che tu non veda niente di interessante da queste parti?- continuò lei, sfiorandosi il seno sinistro con una mano.
Lei si passò la lingua tra le labbra, cercando in tutte le maniere di sbloccare quel pezzo di carne frigida che aveva davanti. Avrebbe potuto prenderla lì se solo avesse voluto, su quel tavolo di acciaio. Ma niente, se ne stava seduto a fissarla, immobile.
Lui si schiarì la gola.
Era ora, pensò lei. Finalmente un segno di vita.
-Vuoi almeno dirmi perché mi avete portata qui in fretta e furia? Lo incalzò. -Se c'è una cosa che odio è proprio essere svegliata nel cuore della notte da un ciccione col distintivo che mi invita a seguirlo in centrale.-
Ancora nessuna risposta. E, come se non bastasse, ogni minuto che passava quella stanza dalle pareti bianche sembrava farsi sempre più piccola, stringendosi attorno a lei come quei trabocchetti che si vedono nei film d'avventura.
-Poi arrivo qui,- continuò lei, -e mi tocca stare davanti a un bel ragazzo come te per un'ora intera. E in silenzio pure!-
-Si calmi...- esordì lui, con una calma innaturale.
-Si calmi un bel paio di palle, agente- lo interruppe lei, alzandosi in piedi e sporgendosi sul tavolo.
-Detective...- precisò lui. Alzò lo sguardo e incrociò gli occhi di lei. Occhi neri, profondi come la notte più buia. Occhi da predatrice.
-Come?-
-Sono detective, non un semplice agente.-
-Ah, ok...-
-Vuole tornare a sedersi?- la invitò lui con un gesto della mano. -Prego...-
Lei si sedette. Eh, no, quello sbirro non era una preda facile, avrebbe dovuto lavorare sodo per riuscire a piegarlo. D'altra parte era questo il suo lavoro: far sì che gli uomini obbedissero a tutti i suoi desideri, illudendoli poi che quei desideri fossero i loro. Era una maestra nel suo lavoro, e quel fottuto sbirro se ne sarebbe accorto molto presto.
-Si è calmata ora?- le chiese lui.
-Sì, un po'.-
-Bene!- esclamò. -Ora, per tornare alle sue domande e alla sua grande voglia di dare fiato alle trombe, e non solo a quelle, posso solo dirle che non le ho fatto ancora alcuna domanda perché stiamo aspettando il suo avvocato.-
-Stiamo?- chiese lei.
-Sì, stiamo- le rispose. -Io e i signori di là- e indicò l'enorme specchio alla sua destra. Un comunissimo vetro oscurato, di quelli presenti in tutte le aule di interrogatorio del mondo.
Lei fece segno di capire, poi si girò per fare un sensuale gesto di saluto verso lo specchio. Lui sorrise.
-E se non le bastasse,- continuò, -ci stanno guardando anche dalla telecamera alle sue spalle. Quindi un suo tentativo di sedurmi non passerebbe inosservato, né andrebbe a suo favore per quanto riguarda le indagini.-
Era vero, c'era una telecamera dietro di lei. Chissà, magari qualche agente di primo pelo stava già facendo qualche fantasia su quelle curve mozzafiato.
-Ah!- esclamò lei.
-Esatto, quindi non si faccia venire strane idee. Qui non siamo nel suo club.-
-Che peccato...- disse lei, assumendo quell'aria innocente che tanto piaceva ai suoi clienti.
I due rimasero in silenzio ancora per qualche minuto.
Questa volta la faccenda è seria, pensò lei, forse non riuscirò a cavarmela con tanta facilità. Diede un'altra occhiata al detective. Davvero un bell'uomo, con quel viso dai lineamenti duri e lo sguardo severo. Aveva subito capito che lui faceva parte di quella schiera di uomini che preferiva: quelli che non si sottomettevano con facilità, con cui bisognava lavorare duramente per poi passare una notte fantastica. Non come quei vecchi rimbecilliti in doppiopetto con cui era abituata a lavorare. Lui sì che era un uomo, ma non era ancora venuto il momento di danzare per lui. Prima avrebbe dovuto lavorarselo un po'.
-Posso avere una sigaretta?- chiese lei.
-Certo, si figuri- le rispose il detective, e posò pacchetto e accendino sul tavolo.
Poco dopo, una nuvola di fumo cominciò ad aleggiare in aria. Un po' di sedativo per i nervi non fa mai male.
-Ah, già che ci siamo- debuttò il detective. -Le andrebbe di raccontarmi qualcosa di più su di lei? Così guadagniamo un po' di tempo.-
-Detective!- esclamò lei scostandosi di qualche millimetro i bordi della camicetta. -Non pensavo che saremmo arrivati subito a questo.-
-Rimetta tutto a posto- rispose lui, serio. -Penso che lei mi abbia frainteso.-
Lei si rimise in ordine la scollatura, delusa.
-E allora cosa vuole?-
-Vorrei solo farle qualche domanda sul suo passato e sul suo lavoro al club.-
-Ma il mio avvocato...- lo interruppe lei.
-Sono domande che dovrei comunque farle prima dell'interrogatorio. Ci servono per confrontare i dati in nostro possesso- disse il detective indicando la cartellina gialla che teneva sul tavolo. -Inutile dirle che queste domande non necessitano della presenza dell'avvocato.-
Breve pausa.
-Veda un po' lei- la esortò lui sistemandosi sulla sedia.
Lei si guardò intorno per qualche secondo. Quella stanza era davvero diventata più piccola. Meglio impegnare un po' di quel tempo.
-Be', se questo mi aiuterà a non passare un'altra ora di silenzio forzato, direi che mi va bene.-
-Benissimo!- esclamò lui, protendendosi verso di lei, le braccia incrociate sul tavolo. -Procediamo?-
-Per quello che vale...-
Lui si schiarì la gola.
-Dunque, il suo nome è Cherry, giusto?-
-Esatto.-
-Cherry e nient'altro?-
-Per ora accontentati di Cherry-e-nient'altro- rispose lei, secca.
-Per me va bene. Dunque, Cherry-e-nient'altro, mi può dire qual è il suo ruolo nello strip in cui lavora?-
-Sono la ballerina di punta, caro. E anche responsabile del personale femminile.-
-Ah!- la interruppe lui. -Pure?-
-Sì, esatto, caro detective. Per chi mi hai preso, per una puttana qualsiasi?-
Lui rimase interdetto per un paio di secondi.
-Non era questa la mia intenzione- si scusò.
-Be', lo spero- rispose lei. -Anche perché, se non sbaglio, si potrebbe arrivare alla diffamazione.- I suoi occhi erano gonfi di rabbia, le guance arrossate.
-Vedo che sa quello che dice. Mi scuso ancora...-
-Ma sì, ma sì. Sai poi quanto me ne frega- rispose lei. -Prossima domanda?-
Lui aprì la cartella gialla e cominciò a sfogliarne il contenuto.
-Qui dice che ha frequentato l'università locale.-
Lei annuì.
-Facoltà?- le chiese, sempre guardando il foglio.
-Lettere moderne.-
-Lettere moderne?- ripeté lui, perplesso.
-Sì- rispose lei, secca. -Ma sono durata solo un paio d'anni. Poi ho preferito fare dell'altro.-
-Mi racconti- la invitò il detective mettendosi comodo.
-Posso sfilarti un'altra sigaretta?- e si protese verso il pacchetto.
Lui le rivolse un cenno affermativo.
-Allora- riprese lei, assaporando la prima boccata. -Sono arrivata in questa città dopo aver fatto le scuole superiori. Non avendo molti soldi, decisi di lavorare e studiare.-
-E i suoi genitori?- si intromise lui.
-Troppo occupati a pensare ai cazzi propri. Posso andare avanti?-
-Si figuri- disse lui.
-Dicevo. Il primo anno di studi l'ho passato lavorando come cameriera al BunnyCoffee, una caffetteria poco lontana dall'università.-
-Al BunnyCoffee, eh?!- la interruppe lui.
-Sì, detective. E non fare quella faccia, tutte le ragazze che hanno bisogno di un po' di grana per mantenersi gli studi hanno indossato quello schifo di costume da coniglietta e servito caffè annacquato a quella mandria di porci almeno una volta nella vita.-
-Mi sembra di capire che non le piacesse.-
-Bella scoperta, caro il mio Watson. Che c'è... credi che una che lavora in uno strip non sappia chi fosse Sherlock Holmes?-
Lui sembrò non averla sentita. Le fece solo segno di continuare.
-Se, va be'- fece lei, spegnendo la sigaretta. -Dunque, dicevo che ho passato un anno tra studi e il BunnyCoffee. Un vero schifo.
-Una sera un cliente del bar mi aspettò fino all'orario di chiusura. I suoi modi erano gentili, senza tralasciare il fatto che era anche belloccio e con un bel po' di grana.
-Camminammo per qualche ora nella notte, parlando dei nostri interessi e dei nostri sogni. Ripeto, sembrava un tipo a posto sotto tutti i punti di vista, ma non appena arrivammo nel piazzale esterno dell'università, lui mi trascinò dietro a un albero e mi violentò, minacciandomi con una pistola.-
Una lieve ombra oscurò i suoi occhi neri. Il detective se ne accorse.
-Se le fa male parlare di questo fatto, non è obbligata a farlo.-
-Cosa c'è, detective- disse lei, -non ha voglia di sentire niente su quanto maledettamente stronzi possiate essere voi uomini?-
-Cherry, la prego di ricomporsi, e di ricordarsi che sta parlando con un detective della polizia- la ammonì lui, alzando la voce.
-Sai che roba...- gli fece eco Cherry.
Lui si sporse sul tavolo.
-Si ricordi che posso sempre sbatterla dentro per oltraggio a pubblico ufficiale! E per questo non serve certo aspettare il suo caro avvocato.-
Il detective si rimise comodo, continuando a fissarla.
Non va bene, cazzo! pensò Cherry. Se vuoi uscire da questa situazione di merda devi fare la brava cagnolina.
Lui si accese una sigaretta, lei anche.
Il silenzio riavvolse i due con la sua pesantezza. Solo il ronzio dei neon a fare da sottofondo.
-Scusami- esordì Cherry, con voce carica di moine.
-Va bene. Vuole continuare?- disse lui, sbrigativo.
-Certo. Dicevo che quel bastardo mi violentò proprio davanti alla mia università. Caso vuole che nessuno passasse di lì in quel momento. Bello, eh?! Ma torniamo alla storia.
-La mattina dopo mi svegliai distrutta, in lacrime, e con qualche graffio. Non andai né a lezione né al lavoro. La sola possibilità di vedere degli uomini durante la giornata mi disgustava nel profondo.-
Vai ora con la lacrimuccia. Funziona sempre.
Cherry scoppiò in lacrime. Brava, fallo commuovere.
-Giurai che non avrei mai amato, e che prima o poi quello stronzo l'avrebbe pagata!- urlò con la voce rotta dai singhiozzi.-Ma per sua fortuna non lo vidi mai più.-
Il detective si alzò, premuroso, e le porse un fazzoletto.
-Tranquilla, tranquilla- disse, cercando di confortarla. Poi con un mezzo sorrisetto aggiunse: -Sappia però che piangere non le servirà a uscire di qui prima dell'interrogatorio.-
Cherry esultò fra sé e sé. Qualcosa era cambiato nella voce del detective. La fortezza stava lentamente implodendo. E questo a Cherry piacque. Piacque molto.
Passò un'altra ora. Un'ora fatta di parole su parole. In quel lasso di tempo Cherry gli raccontò tutto quello che accadde nei suoi due anni di università. Di come aveva fatto giuramento di farla pagare agli uomini, di come, qualche mese dopo lo stupro, avesse trovato lavoro come spogliarellista all'El Wray Strip Club. Era il posto giusto per far sì che gli uomini peggiori si piegassero al suo corpo e ai suoi voleri.
Negli anni successivi, Kitty, la ballerina anziana, le insegnò tutti i trucchi del mestiere e, soprattutto, a rendere uno spogliarello il più lungo e fruttuoso possibile.
Il detective rimase paziente ad ascoltarla, a tratti rapito dalla storia e sempre più affascinato da quella donna. Sentiva che quella che stava provando non era solo un'attrazione di tipo animale verso una qualunque preda da conquistare, era qualcosa di più: una specie di venerazione.
Mentre lei raccontava molto dettagliatamente le sue esperienze di lavoro all'El Wray Strip Club, gli capitò di sognare a occhi aperti: lei era seduta su un trono di pallettes, e lo stava frustando a dovere. Sì, mia padrona!, immaginò di urlare, fai di me ciò che vuoi!.
Nemmeno un intero rotolo di banconote sarebbe bastato per passare una sola notte a letto con lei. Lei era tutto,avrebbe potuto diventare la padrona del suo destino in un attimo.
Mentre raccontava, Cherry si accorse di tutto ciò.
L'unica cosa che la tratteneva ancora dal fare di quel detective il suo peluche con il collare borchiato era la presenza di altri agenti dall'altra parte del vetro e di quella dannatissima telecamera. Forse aveva già conquistato anche gli altri agenti, ma non poteva esserne sicura. Era solo certa che doveva riuscire a uscire di lì il prima possibile, a costo di farsi sbattere da ognuno di loro.
Decise che era meglio continuare ancora un po', per essere più sicuri. Un filo molto sottile era teso tra lei e la galera, e di certo lei non voleva fare in modo che si rompesse.
-Poi, quando Kitty scomparve, presi in mano io la gestione del personale femminile al club. Fine della storia.-
Cherry spense l'ennesima sigaretta fumata durante il suo racconto. Aveva quasi finito tutte le sigarette del buon detective mentre parlava.
Lui se ne stava seduto, proteso verso di lei, con il mento poggiato sui palmi delle mani. Nei suoi occhi vi era un sogno: portarsi a letto quella donna. Era in quella posizione da una mezz'ora buona, e aveva ascoltato a malapena il racconto di lei. Quello che voleva veramente era poter adorare quel corpo perfetto.
-Detective?- lo chiamò lei, cercando di attirare la sua attenzione.
Lui rimase immobile, incantato dalla bellezza di quella donna.
-Detective?- lo chiamò ancora. -Riesce a sentirmi?-
Lui parve svegliarsi da un sogno.
-Sì!- le rispose. -Sono qui!-
Lei sorrise.
Lui si schiarì la gola per un paio di volte.
-Una storia davvero interessante la sua, cara Cherry.-
Era fatto. Ora non restava altro che dargli il colpo di grazia, a lui e a quegli altri porci che, assistendo alla scena, probabilmente si erano già infilati una mano nei pantaloni.
-Detective, non mi hai ancora detto il tuo nome- lo provocò strusciandosi le dita sul lembo di pelle visibile dalla scollatura.
-J-J-J-John- balbettò lui.
Lei si allungò sul tavolo, ben attenta a mettere la scollatura in bella vista.
-Allora, John. Ti ho appena raccontato tutto di me. Che ne dici se per completare il tutto io adesso mi mettessi a ballare per te?-
-Ma non c'è musica!- esclamò il detective, poi si riprese subito. -Volevo dire, siamo in una stazione di polizia. Non credo che ai piani alti apprezzerebbero.-
Fulminea, lei salì sul tavolo e, procedendo a gattoni, avanzò lentamente fino a trovarsi a pochi centimetri dal volto di John.
-Ti assicuro che ai piani alti pagherebbero una cifra per godersi questo spettacolo.- La sua voce era calda e sensuale, un invito bello e buono a dare sfogo ai desideri proibiti di un uomo.
-Ma- si scostò lui, -dobbiamo aspettare il suo avvocato per farle alcune domande su quanto è successo poche ore fa al club.-
Cherry abbassò lo sguardo verso i pantaloni di John e cominciò a sentirsi affamata. Cristo, che erezione!-Tu non preoccuparti- gli disse, -le risposte arriveranno prima di quanto tu possa immaginare.- Si leccò le dita e, allungandosi, gli abbassò la patta dei pantaloni. -Potrai darti da fare, mentre mi prenderò cura di te.-
Il tavolo era ben solido, si poteva cominciare.
Senza scendere dal tavolo, Cherry si alzò in piedi in tutta la sua statuaria bellezza, e cominciò subito a far ondeggiare i fianchi.
John si mise comodo, gli occhi sgranati e carichi di desiderio. Con le mani cominciò a seguire il ritmo di quei fianchi perfetti, immaginando di accarezzarli.
Cherry continuò imperterrita. Era il suo lavoro, l'unica cosa che sapesse fare, e questa volta era per lei il culmine di tutta una vita. Non avrebbe permesso che qualcosa andasse storto. Era sicura del risultato che avrebbe ottenuto, ma, come ogni volta, era meglio non affrettarsi a cantare vittoria.
John cominciò a deglutire all'impazzata. La voleva. Voleva possedere quella donna a ogni costo. In culo la polizia, in culo i gradi. In quel momento l'unica cosa che gli interessava era lei, e voleva andarci fino in fondo.
Senza pensarci due volte, John si tirò fuori l'uccello, gustandosi la propria erezione.
Ancora un poco, caro Johnny, pensò Cherry, poi vedremo che l'avrà vinta.
Cherry si voltò, mettendo in bella vista le sue natiche tonde e sode e facendole ondeggiare con un ritmo ipnotico. Lentamente si tolse la camicetta, facendola poi ricadere all'indietro sul viso di John. Lui emise un rantolo strozzato: la spogliarellista non portava il reggiseno.
Lei si coprì i seni con le braccia, anche i cari amici che stavano dietro allo specchio dovevano aspettare.
Si voltò, con lentezza. Guardò John dritto negli occhi e ricominciò ad ancheggiare.
-Allora, John. Sei soddisfatto?- gli chiese lei ammiccando.
-No, per niente- rispose lui deglutendo con forza. -Voglio di più!- Stava strizzando gli occhi con una regolarità allarmante. Era quasi sul punto di venire.
Lei si chinò verso di lui. -Vuoi vederle?-
-Sì...- rispose lui.
-Vuoi toccarle?-
-Sì!-
-Sta' a guardare allora.-
Cherry si raddrizzò con la schiena e cominciò a roteare su se stessa. Un giro, due giri, tre giri, quattro giri. Di punto in bianco si fermò e aprì le braccia.
John bestemmiò ad alta voce e venne sul tavolo. Si udirono grida di piacere dall'altra parte del vetro oscurato.
-Che ne dici dei miei seni, eh?- gli chiese Cherry. -Sento che anche i tuoi amici ci stanno dando dentro.-
Lui non riuscì a rispondere. Il suo sguardo era fisso su si lei, sui suoi seni perfetti. Lentamente, cominciò a slacciarsi la cravatta.
-Fermo!- lo intimò lei.
-Ma come- piagnucolò John, lasciando perdere la cravatta. -Ne ho ancora qui sotto!-
Lei gli lanciò una delle sue occhiate feline.
-Ti prometto che dopo ci divertiremo, amore mio. E io per prima mi divertirò, ma lo spettacolo non è ancora finito.-
Detto questo cominciò ad abbassarsi la minigonna di jeans. Poco a poco John si poté rendere conto che la dea che aveva davanti agli occhi non portava nemmeno le mutandine.
Pochi secondi e anche la minigonna cadde sul pavimento. Ed eccola lì', a troneggiare nella sua nudità. La sua era quasi una danza rituale dei tempi antichi. Lei era sacerdotessa e dea insieme, e quella stanza era il suo tempio. I suoi adepti erano lì solo per lei, e la adoravano con tutta l'anima.
'Bene', pensò Cherry, 'facciamola finita una volta per tutte'.
Senza indugiare cominciò con i passi segreti che la vecchia Kitty le aveva insegnato. Dapprima molto lentamente, poi sempre più veloce, sempre di più, finché un'esplosione di sangue non la investì in pieno.
A quel punto era davvero finita.
Solo quando Cherry finì di rivestirsi cominciarono a udirsi i primi spari. I suoi adepti le stavano facendo strada verso la libertà. John no, lui era ancora seduto, con la patta dei pantaloni squarciata. Al posto del pene vi era solo un ammasso di carne sanguinolenta e ancora fumante. Al contrario dei suoi colleghi dall'altra parte dello specchio, lui era morto stecchito. Non era da biasimarlo, lui era stato investito in pieno dall'effetto della Danza della Morte. Gli altri erano solo degli zombie castrati pronti a ubbidire alla loro padrona.
Cherry si passò un dito sul volto coperto di sangue, poi se lo succhiò con ingordigia.
-Peccato, John- disse ridacchiando e rivolgendo uno sguardo al corpo martoriato del detective, -eri un uomo buono, in tutti i sensi.-
Si chinò sul detective e lo baciò sulle labbra semichiuse. -Mi sarebbe piaciuto averti, ma rimani comunque un uomo. Come quei coglioni di qualche ora fa all'El Wray.-
Detto questo, raccolse la borsetta e uscì dalla stanza. Lo spettacolo che si trovò davanti agli occhi era raccapricciante: scrivanie fatte a pezzi, arti umani smangiucchiati affissi alle pareti, interiora umane sparse per il pavimento e sangue dappertutto. Ancora spari in sottofondo.
Bravi i miei ragazzi, pensò facendosi largo in mezzo a quello scempio. Chissà, forse anche i suoi schiavi trasformati poche ore prima all'El Wray Strip Club si stavano divertendo in giro per la città. Chissà quale nome le avrebbero mai potuto affibiare: Cherry la Misericordiosa, Cherry la Terribile, Cherry la Vendicatrice.
L'unica cosa certa era che la sua vendetta finale contro gli uomini era appena cominciata, e sarebbero stati proprio loro ad autodistruggersi. E tutti i pochi sopravvissuti l'avrebbero adorata, venerandola come dea bellissima e spietata.
Non male come idea, pensò Cherry, andando col pensiero alle mille e mille danze che avrebbe dovuto ancora fare per raggiungere i suoi scopi.
Quando finalmente riuscì a uscire dalla stazione di polizia e vide che per le strada la follia distruttriva procedeva già a un buon ritmo un solo pensiero le occupava la testa: l'El Wray Strip Club non era appropriato per ospitare una dea. Forse in un luogo lontano, in Italia, ora centro di venerazione di un dio solo immaginato che due millenni prima pare si fosse presentato in forma umana. Forse quello sarebbe stato il posto adatto a lei, una divinità fatta di carne e ossa.
Sì, quel luogo sarebbe andato bene. Amen.

E.

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