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Chi ben incomincia, bene prosegue. Incipit.

Creato il 12 marzo 2012 da Nasreen @SognandoLeggend

Incipit
Chi ben incomincia, bene prosegue

L’incipit, ossia le prime righe di un romanzo, è uno strumento fondamentale, per lo scrittore, con cui procurarsi nuovi lettori. Sono quelle poche righe, infatti, a decidere in molti casi l’acquisto o meno dell’opera: dopotutto, l’inizio di un romanzo dice molto sullo stile dell’autore e la sua capacità di catturare l’attenzione. A differenza di un film, nel cui caso gli spettatori hanno pagato il biglietto prima di sedersi, chi legge un incipit fatto male può semplicemente chiudere il libro e andarsene, con buona pace dell’autore. Un romanzo altrimenti buono può essere penalizzato da un incipit scadente.

Un buon incipit possiede due qualità fondamentali:

  1. Presenta il romanzo nella sua unicità.
  2. Incuriosisce il lettore, facendogli porre delle domande.

Presentare il romanzo nella sua unicità significa far capire al lettore di cosa parlano le centinaia di pagine a venire e cosa c’è di diverso, in quest’opera, rispetto alle migliaia che trattano lo stesso argomento. Non è solo una questione di argomento: devono essere evidenti anche gli elementi di atmosfera e di stile che rendono il romanzo qualcosa di unico.

Incuriosire il lettore, facendogli porre delle domande, significa inserire nell’incipit alcune informazioni interessanti, ma incomplete: il lettore sarà spinto a proseguire per cercare nel testo le risposte alle domande che questa tecnica produce nella sua mente. Le domande non devono per forza ricevere risposta nel corso del romanzo; l’importante è che catturino l’attenzione del lettore, in modo che si ritrovi invischiato nella storia prima ancora di accorgersene.

Uno degli incipit migliori mai scritti, da entrambi i punti di vista, è quello de “L’ultimo cavaliere” di Stephen King:

               “L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì.”

Queste poche righe ci dicono tutto il necessario: si tratta di un romanzo avventuroso (ci sono un pistolero, un deserto e un inseguimento: che altro potrebbe essere?) i cui protagonisti sono un uomo in nero e un pistolero. Quest’ultimo deve odiare sul serio il suo antagonista, per seguirlo fin dentro a un luogo così terribile.
Eppure, l’incipit ci lascia pieni di interrogativi: chi è quest’uomo in nero e perché fugge proprio nel deserto? Chi è il pistolero e cosa lo spinge a inseguire l’uomo in nero? Un singolo paragrafo di un singolo periodo attrae l’attenzione del lettore come un magnete, dimostrando che l’autore ci sa fare.
Lo stile è secco, sintetico, senza fronzoli.

Un altro esempio di maestria nell’uso dell’incipit è “Cent’anni di solitudine” di Gabriel Garcia Marquez:

 ”Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio.”

Il romanzo si apre con un immagine violenta (quella di un uomo che sta per affrontare la morte), ma subito passa a una scena tranquilla: un ragazzo che, sotto l’ala del padre, scopre un elemento del mondo. L’accostamento di queste immagini crea un contrasto fortissimo, che non può non suscitare curiosità; esso, inoltre, suggerisce un uso disinvolto e magistrale del linguaggio e porta il lettore a chiedersi perché il colonnello Buendia sia stato condannato alla fucilazione e cosa c’entri il ghiaccio in questa storia.
Dopodiché, una volta iniziato, il romanzo non si abbandona fino alla fine.

Alcuni, basandosi sul concetto di “situazione iniziale” tipico delle favole, utilizzano un espediente simile a quello che nel cinema si chiama “presentazione ritardata”: il protagonista e/o l’argomento del romanzo non sono introdotti subito, ma l’opera inizia in modo “insospettabile” e solo dopo si scopre il “vero” argomento.
Un esempio è l’incipit di “Storm Front” di Jim Butcher, che traduciamo per voi (essendo il romanzo ancora inedito in Italia):

 “Sentii il postino che si avvicinava alla porta del mio ufficio, mezzora prima del solito. Il rumore non era quello giusto. I suoi passi erano più pesanti, più vivaci, e fischiettava. Uno nuovo. Fischiettò fino alla porta del mio ufficio, poi rimase in silenzio per un attimo. Poi rise.

Poi bussò.

Trasalii. La mia posta passa per la buca delle lettere a meno che non sia raccomandata. Mi arrivano davvero poche raccomandate e non portano mai buone notizie. Mi alzai dalla sedia nel mio ufficio e aprii la porta.”

Questo incipit dice qualcosa: un postino nuovo vede la targa sulla porta dell’ufficio del protagonista e scoppia a ridere. Il lettore, però, dopo tre paragrafi ancora non sa di cosa parla il romanzo, né cosa abbia di speciale il protagonista. Non lo scoprirà fino a pagina tre, che inizia con questo paragrafo:

“Il mio nome è Harry Blackstone Copperfield Dresden. Pronunciatelo a vostro rischio e pericolo. Sono un mago. Lavoro in un ufficio in centro a Chicago. Per quanto ne so, sono l’unico mago professionista dichiarato del Paese. Potete trovarmi sulle Pagine Gialle, sotto la voce “Mago”.”

Un vero mago che ha un ufficio in centro ed è sulle Pagine Gialle? Questo è di sicuro più interessante della posta. Il problema, appunto, è che la parte interessante viene dopo e l’incipit, tutto sommato, non dice molto; di sicuro non colpisce il lettore quanto avrebbe fatto il paragrafo di cui sopra, posto a inizio romanzo. La “presentazione ritardata” può essere efficace quando il contrasto fra le aspettative create dall’incipit e la realtà del romanzo è forte e viene presentato rapidamente, ma è una tecnica difficile da padroneggiare e in molti casi non efficace quanto un incipit intenso.

 

Dopo aver scritto l’incipit di un romanzo, dunque, è bene chiedersi due cose:

  1. Leggendo queste righe si capisce cosa distingue il mio romanzo da tutti gli altri?

  2. Queste righe suscitano curiosità e dubbi sul resto della narrazione?

Se la risposta a entrambe le domande è “sì”, congratulazioni: avete scritto un buon incipit.  


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