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Chi ha orecchi per intendere… i dislessici a scuola dopo la legge 170

Da Rossellagrenci
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CHI HA ORECCHI PER INTENDERE… I DISLESSICI A SCUOLA DOPO LA LEGGE 170

Oggi sono abbastanza rabbiosa per decidermi, finalmente, a scrivere un articolo sui cambiamenti che, secondo la mia esperienza, stanno avvenendo nella scuola italiana dopo la legge 170 a favore dgli studenti dislessici.

La rabbia è dovuta al fatto che, se cambiamenti da parte della scuola ci sono stati, in misura maggiore non sono stati affatto positivi e ve lo spiegherò.

Parto da quello che mi è accaduto oggi: ho appena ricevuto una telefonata da una docente di scuola superiore di un ragazzo 17enne dislessico che avevo rivalutato giorni fa, ma che aveva già la diagnosi da quattro anni. Una storia non proprio bella, in quanto il ragazzo era stato bocciato l’anno scorso e per il quale non era stato predisposto il Piano Personalizzato, a detta della mamma.

Alla prima sono stata contenta di questa telefonata: finalmente una docente sensibile e attenta che mi chiamava per avere qualche delucidazione. Ma mi sbagliavo: con tono arrogante la docente mi ha fatto notare che nelle conclusioni non avevo scritto chiaramente quali fossero gli strumenti compensativi e quali i dispensativi, a causa di un bisticcio di parole. E’ vero, ma questo non significava che non si comprendesse di cosa si stesse parlando. Al netto rifiuto di accettare quella diagnosi (anche da parte della Preside dell’Istituto) ho chiuso la comunicazione dicendo che l’avrei corretta e sarebbe stata disponibile il giorno dopo.

Spero di essere stata sufficientemente chiara per farvi capire quali sono i miei crucci: possibile che, in mancanza d’altro o per nascondere le insufficienze del loro operato, gli operatori scolastici si attaccano ad una imperfezione di scrittura, per altro, comprensibilissima, tanto che è balzata subito all’occhio di chi la leggeva?

Quelli che si inseriscono a fine diagnosi, fra l’altro, sono dei consigli, tanto per ricordare alla scuola il suo dovere, ma a me sembra che la scuola sia diventata una Caserma, fatta di operai che eseguono degli ordini.

E che dire dei bambini che, senza certificazione, vengono “tartassati” solo perchè sono in attesa di una diagnosi e devono essere trattati come gli altri? E ancora dei bambini che, dopo la diagnosi, vengono messi da parte: “tanto sono dislessici”? E le continue domande rivolte ai genitori del tipo: Che dobbiamo fare, ditecelo voi??? Perchè un genitore dovrebbe sapere quali sono i metodi didattici da utilizzare in classe, solo perchè hanno un figlio dislessico?

Alla scuola superiore, poi, se c’è una diagnosi e le difficoltà di apprendimento emergono, prima ancora di fare quello che dovrebbe (PDP, uso degli strumenti), spesso la prima cosa che i docenti dicono è: il ragazzo dovrebbe cambiare scuola (soprattutto se si tratta di un Liceo). Ma perchè i ragazzi dislessici che hanno scelto, per loro attitudine, un Liceo, non dovrebbero essere aiutati nello studio delle materie nelle quali hanno più difficoltà? Che un dislessico dovrebbe frequentare solo Istituti Tecnici?

L’impressione che ne sto ricavando, purtroppo, è che al momento la scuola continua a lavarsene le mani, a pretendere solo diagnosi aggiornate da mettere agli atti, sperando che da queste emerga che il ragazzo “non può farcela”. Ma non è così: i ragazzi potranno farcela se la scuola sarà in grado di scendere dal suo piedistallo, se i docenti capiranno che l’apprendimento non è imparare delle regole o delle date storiche, non è saper tradurre senza errori una versione, non è ripetere delle nozioni a memoria, ma mettersi in gioco per accedere alle nozioni sfruttando il tipo di intelligenza di ogni persona.

Naturalmente non me ne vogliano i tanti insegnanti che lavorano con passione e cognizione di causa, tutti i giorni. Ed è a loro che, comunque, va il mio GRAZIE!
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