“Abbiamo visto come in ogni luogo del mondo, nelle varie epoche ci siano state o permangano forme di adorazione del Serpente. In nessuna di queste, per inciso, l’animale assume una connotazione negativa affine a quella che gli si vuol attribuire nella Genesi (ma sarà vero che la Bibbia offre un’immagine nefasta del Serpente?).
Quando un marchio negativo travolge e viene cucito addosso, è difficile disfarsene e riuscire a riabilitare la propria immagine. Quasi impossibile, direi. Ci ha provato lo scrittore di origine partenopea William Silvestri, in un saggio uscito il 16 novembre 2015 e pubblicato da Prospero Editore. Si tratta di uno scritto, a mio avviso, molto interessante, che l’autore stesso ha definito come un viaggio spirituale ed esoterico che compendia 6.000 anni di cammino dell’umanità.
“Chi ha paura del Serpente?” attraversa la storia di varie culture e civiltà, allo scopo di analizzare una delle figure allegoriche che forse non è mai stata trattata con la giusta considerazione.
Da quando l’uomo ha messo piede sulla terra, infatti, la figura del serpente è sempre stata simbolo di tentazione, e, per forza di cose, essa ha iniziato a rappresentare il male. Il “traditore” raffigurato nella Genesi, è in realtà un emblema caratteristico della simbologia, ed è presente a tutte le latitudini. Un messaggio importante che scaturisce dalla lettura di questo saggio, e che probabilmente non tutti sanno, è che quasi mai il serpente, nell’immagine che i popoli antichi hanno di lui, riveste un’eccezione negativa. L’autore si chiede: Chi o Cosa è il Serpente? E soprattutto, è giusto o meno averne ancora paura?
Il serpente non è quel diavolo tentatore, responsabile di aver fatto mangiare la mela ad Adamo ed Eva. Almeno, non solo. Sarebbe troppo limitativo. Passando per la considerazione che del Serpente hanno avuto India, Grecia, Egitto e i popoli ebraici, senza trascurare le civiltà precolombiane, la conclusione dell’indagine porta alla riabilitazione di questa figura da sempre così ambigua, per i suoi molti aspetti benefici. Per esempio, la figura del serpente compare dove meno ce lo si aspetta, sugli altari o nelle chiese; così come essa è l’emblema dell’ordine dei farmacisti: particolare che striderebbe con la sua conformazione malvagia.
Il serpente, simbolo di nascita e di morte, incarnando l’eterno dualismo, ha il compito di porre l’uomo in uno stato di illuminazione, di comunicare col Divino. Passando per la coppa d’Igea, adottata come simbolo dai farmacisti di tutto il mondo, all’uroboro, il serpente che si morde la coda, che possiamo considerare una variante nella cultura greca dell’araba fenice, questo animale è considerato come un simbolo di morte e di rinascita.
In un secondo momento acquista l’aspetto del mostro mandato a punire l’eroe, come per esempio il serpente marino inviato a castigare il veggente Laocoonte ed i suoi figli. Che sia l’aspide di Cleopatra o il bastone di Asclepio – simbolo greco associato alla medicina, in grado di guarire qualunque malattia – in questo saggio che “morde ma non avvelena” vengono messe in luce le qualità positive di questo animale bistrattato, che con il cambiamento della pelle simboleggia la rinascita e la fertilità.
Frutto di ricerche approfondite, questo saggio si muove su un terreno specialistico, attraverso una scrittura pertinente ma allo stesso tempo semplice e piacevole, che lo rende accessibile a tutti.
Nonostante il serpente sia sempre stato – e rimanga, sia chiaro – una delle mie fobie più grandi, ho avuto modo di scoprire diverse realtà a proposito di questo simbolo della storia e della cultura di tutti i tempi. Certo, entrare nel mondo dell’esoterismo non è mai facile, ma bisogna considerare questa lettura come fosse uno schermo aperto sul mondo, dal quale detergere un po’ di patina creata dai luoghi comuni e avere la possibilità di vedere in maniera più limpida.
Illuminante la citazione di Mark Twain, con la quale l’autore apre lo scritto:
“Adamo era semplicemente un essere umano e questo spiega tutto. Non voleva la mela per amore della mela. La voleva soltanto perché era proibita. Lo sbaglio fu di non proibirgli il serpente, perché allora avrebbe mangiato il serpente”.
Written by Cristina Biolcati