Quando una forza oscurantista vuole affermare il suo potere è tradizione che, oltre ad eliminare fisicamente gli oppositori, cerchi di eliminare anche le idee organizzando un bel rogo di libri.
“Bücherverbrennungen” li chiamavano i tedeschi, agli albori del Nazismo, quei roghi che dovevano purificare col fuoco la cultura ”per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato” come ebbe a dire Goebbels in un delirante discorso.
“Era una gioia appiccare il fuoco” ricorda il vigile del fuoco Montag, preposto ad accendere roghi di libri e non a spegnerli (come sembrerebbe logico), nell’incipit di “Farenheit 451” di Ray Bradbury, il romanzo che racconta una società futura nella quale le coscienze sono anestetizzate e la “diversità” annullata con l’eliminazione delle idee.
Era quindi impensabile che gli uomini dello Stato Islamico non si lasciassero tentare dall’eccitante desiderio di distruggere i libri col fuoco e così ne hanno fatto le spese l’antica biblioteca di Mosul e le librerie ree di vendere libri cristiani.
Il fuoco che accartoccia le pagine stampate, evidentemente, esercita un fascino incredibile soprattutto su coloro che con i libri non hanno molta dimestichezza e non capiscono che le parole possono essere molto più forti e più potenti delle armi.
E’ inutile che gli incendiari si illudano: si possono uccidere gli uomini, si possono bruciare i libri, si può persino far finta che non ci siano oppositori e opposizioni, ma le idee restano e, anzi, più si cerca di soffocarle, di cancellarle, di eliminarle più prendono forza e volano lontano.
Prima di bruciare i libri bisognerebbe provare a leggerne almeno uno di storia: si capirebbe così che i roghi sono ricorrenti, ma, solitamente, chi li appicca è destinato a sparire.