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chi ha vinto il primo concorso letterario del Diario?

Creato il 15 dicembre 2011 da Lafenice
Ciao a tutti amici ed amiche care!
finalmente ce l'ho fatta!
causa pile inenarrabili di appunti da copiare, slides da studiare e ansie da scacciare, la bellissima (ma davvero numerosa) pila di componimenti arrivati per il primo concorso letterario del Diario (quello del mio compleanno che metteva in palio una copia autografata de "Chanel non fa scarpette di cristallo".. ricordate vero?) sono riuscita soltanto ora a proclamare la tanto attesa vincitrice.
anzitutto: il motivo. Cosa mi ha colpito di questo racconto? La verità. ebbene si: tra le sue righe ho letto un bel consiglio che ha fatto davvero bene alla sottoscritta, una verità un pò scomoda ma che è necessario tenere a mente, sempre.
il nome dell'autrice è "nascosto". perché? perché vorrei che leggeste queste poche righe fino alla fine. l'autrice, che scommetto si riconoscerà subito, è pregata di inviarmi una mail all'indirizzo "[email protected]" indicandomi il suo recapito!
Grazie a tutti, comunque, per la partecipazione! siete stati bravissimi e decidere non è stato facile!
Buona lettura!
chi ha vinto il primo concorso letterario del Diario?Amore. Fin da quando ho acquisito la consapevolezza di pensare, ho cercato di immaginare i tuoi tratti, di tracciare la tua sagoma, di delineare le tue ombre. Quel disegno dapprima sfocato si è stampato indelebile nella mia mente, definendosi con superba naturalezza, linea dopo linea, dettaglio dopo dettaglio, e riecheggiando prepotente nei più oscuri e lontani meandri di me.
Ma hai sempre avuto un volto: la tua immutabile perfezione e la tua inalterabile purezza mi hanno tenuto la mano durante gli ingenui giochi di bambina e mi hanno avvolto stretta durante l'inevitabile crescita, ladra dell'effimera giovinezza. Non mi hai mai abbandonato, neppure quando ho finto di preferirti altro di meno astratto e sfuggevole, di più semplice e tangibile.
Con la mia matita in quest'istante tento per l'ennesima volta di cacciarti fuori da me, tracciando ad occhi chiusi su candida carta l'immagine del familiare e salvifico tormento.
"Stai ancora disegnando, amore?" La mia tortura mi domina, ormai sono talmente in tuo possesso da essere chiamata da altri col tuo nome: Amore. E' mio marito che cerca di richiamarmi alla realtà, con le sue solite parole dolci, il suo sorriso di miele e una conciliante carezza sulla schiena. Non comprendo perché mi abbia sposato pur sapendo che non sono stata, nè sarò mai con lui. Io l'ho sposato perché l'ha sempre saputo e nonostante le mie regolari fughe verso un universo di bramata tortura che non potrebbe in alcun modo appartenergli, lui mi ha sempre amata.
"Va bene, tolgo il disturbo. Vado a lavoro, a stasera". Compreso il mio tacito assenso, mi scocca un rapido bacio sulla fronte ed esce dalla stanza senza che io abbia distolto per un attimo lo sguardo dal mio lavoro. Sento il tuo cuore iniziare a palpitare attraverso la carta, a cederle tepore di vita ed animarla. I colori donano giustizia ai tuoi occhi marini e alle tue ciocche di sole, rendono lo spiccato contrasto tra la tua pelle diafana e le tue gote rosee. La tua mascella si contrae in un sorriso sghembo, come ogni volta che mi riscopri rapita dalla tua surreale bellezza, ma disteso comodo sul tuo morbido divanetto cremisi non hai mai accennato ad alzarti per venirmi in contro. Sei troppo per me e ricordarlo ogni giorno mi fa rabbia e mi rende sempre più insoddisfatta. Un sadico pugno diretto proprio sul fresco livido sempre rinnovato. Potessi averti davvero solo per un istante, fermerei il tempo per riuscire ad abbracciarti per una troppo breve infinità! Perché mi fai questo?
La rabbia prende come ogni volta il sopravvento su di me, appallottolo il foglio fra le mani e lo getto fuori dalla finestra aperta.
A che mi servirebbe conservare la tua ennesima effigie? Ne ho fin troppe di te che vorrei cancellare, bruciare come foglie secche, ma nel mio cuore si celano in botole, in attesa di cogliermi alla sprovvista.
Apro il cassetto della vecchia scrivania e ritrovo folle di te imprigionato nella carta e molte altre scalpitano nascoste in giro per casa.
Due rapidi e brevi suoni si susseguono distruggendo l'assordante silenzio in cui hai lasciato nuovamente qualcuno pretende la mia attenzione tramite il citofono.
Svogliatamente mi metto in piedi e mi dirigo senza fretta alla porta. Non appena la raggiungo, scorgo una busta passare sotto di essa: è bianca e anonima. La apro vagamente incuriosita ed estraggo il foglio al suo interno: è stropicciato, al centro vi è raffigurato un divanetto cremisi, quello che ho appena disegnato e colorato, quello su cui adori distenderti. Sconvolta e perplessa, rigiro più volte la busta fra le mani, poi apro all'improvviso la porta e mi abbagli, lasciandomi senza fiato. Questa volta in piedi davanti a me, non tradendo la tua espressione beffarda.
"Non sei reale" affermo incantata da quelle onde luminose che sono la tua capigliatura disordinata e dalle tue labbra carnose e rilassate nel tuo abituale sorriso storto.
"Solo se tu vuoi che io non lo sia". La tua voce mi attrae rassegnata verso l'oceano contenuto dalle tue magnetiche iridi, sento la necessità di tuffarmi.
"Ho sempre desiderato che mi trovassi" confesso qualcosa che sai già, solo perché è impossibile trattenermi.
"Ma non mi hai mai cercato, non hai fatto altro che attendermi". Il rimprovero nel tuo tono non riesce minimamente a turbare la tua bellezza eterea.
"Ma adesso sei qui, finalmente?" domando speranzosa ai tuoi occhi notturni.
"No, ma esisto nel luogo dove attende ciò che necessita solo di essere cercato" rispondi fiducioso e adesso la speranza infiamma il tuo viso.
All'improvviso  non non posso trattenermi dall'avvicinarmi a te per avere conferma della tua esistenza, per tastare la tua consistenza: sei di marmo e vapore al tempo stesso, sei tutto e niente, ma le tue contraddizioni sono ciò di cui ho bisogno.
"Mi avrai quando mi amerai e non mi amerai al tempo stesso". Mi leggi nel pensiero soddisfandomi mentre mi cingi le spalle con le braccia robuste. So che è un equilibrio precario, per questo mi aggrappo a te con la sua forza di un fiore selvatico che cresce su di un'aspra scogliera.
"Ma t'amo da sempre, come potrei anche non farlo?" ribatto perplesso. La sua ragione è illogica, è soprattutto questo a renderti tanto attraente,
"Devi anche non amarmi: solo così sarai in grado di cercarmi. Io sarò lì ad aspettarti ad aspettarti, in qualunque momento mi raggiungerai". Sei già un eco distante, svanito fra le mie braccia lasciando al tuo posto solo minuscole goccioline d'acqua miste a frammenti di roccia appena visibili. Hai riacceso il silenzio spegnendo la luce che proveniva tutta dal tuo sorriso. Mi stai davvero aspettando? E' questo che mi hai promesso: tutto e niente in un luogo e in un tempo sconosciuto.
Rientro in casa e mi chiudo la porta alle spalle. Bisogna ch'io non t'ami? Ritorno alla scrivania, riapro il cassetto che contiene tutti i momenti in cui ho pensato solo a te: accendo un fiammifero e ti do fuoco. Perfino le fiamme avvolgono bramose la tua immagine, come biasimarle.
Bisogna ch'io t'ami? Slego i capelli e mi lascio finzioni, fughe, fiamme e futuro alle spalle mentre esco da quella che chiamavo casa.
Se cercato con tutte le proprie forze, anche un luogo senza nome può essere trovato e un tempo senza nome può essere raggiunto.

Giulia V.

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