Fabio Genovesi, Chi manda le onde, Mondadori
Venticinque stesure, di cui due a mano. Quattro anni di lavorazione. Una vita schiva (senza troppo bablinare - mi perdonerete il piemontesismo...? - sui social network). Tutto questo, più il talento, ha creato Chi manda le onde di Fabio Genovesi.
Come lo so? Perché ho partecipato a un incontro martedì scorso a Open Milano e ringrazio Anna Da Re per il gradito invito e Giulia Ichino, editor del romanzo, che ha introdotto e moderato la piccola conferenza per blogger e giornalisti web raccolti in circolo magico attorno all'autore.
Mentre il mondo si interroga su chi diamine sia Elena Ferrante, dunque, mi sembra interessante ricordare che questo romanzo, tra l'altro, è candidato al Premio Strega 2015.
La storia è una storia corale (Luna, Serena, Zot, Luca, Sandro sono solo alcuni dei molti personaggi) e l'autore ci ha spiegato il perché. Perché non ha interesse in ciò che accade a uno solo, narcisisticamente. Il suo interesse risiede piuttosto nell'incontro, nella relazione tra più personaggi.
Genovesi diceva anche che lui rimane colpito dalla semplicità (che è sempre riconquistata) delle persone che conosce, come anche degli aggettivi. Inutile complicarsi la vita, certe volte una cosa è bella, e basta.
Ed è stato bello sentire queste e molte altre parole pronunciate dal vivo da un autore che ha dato alle stampe una storia grande. Una storia che risente delle numerose riscritture cui è evidente che ha consacrato l'anima. Lo scavo psicologico è infatti profondo e sottile, impossibile non cascare dentro la fitta trama e gli snodi che ne dettano i passaggi principali. Decidere chi è il protagonista è impossibile, e l'autore questa la considera una vittoria. Ma a occhio e croce io ne ho identificati due. Una è Luna, una ragazzina albina parecchio intelligente, a me ha ricordato lei, ma anche alcuni personaggi salingeriani.
L'altro protagonista è il disarmante Sandro. Un quarantenne calato a pieno nel nostro tempo, un tempo che non ama molto la maturità e l'indipendenza economica e mentale dei "giovani" e ci lascia tutti ad arrancare per spiegare al mondo che lavoro facciamo e come
Lo stile di scrittura di questo romanzo è moltplice e risuona delle voci di ciascun personaggio. L'autore ci ha anche raccontato come lui non abbia schemi predefiniti né di linguaggio né di struttura ma come si lasci per così dire trasportare dall'onda della storia, per agganciarsi al titolo, che ha molto a che fare con il mare di una Versilia inedita e inaspettata. Basti dire che tra i suoi maestri di scrittura, capaci di gettare in lui semi di narrazione e di racconto, sono proprio gli anziani di Forte dei Marmi.
Lo scrittore è stato generoso nello spiegare "cosa non si sa", che è una delle sue definizioni della scrittura. Dimostrando un impegno notevole, e raro di questi tempi, nel restare "umano", concetrato sul lavoro artigianale e umile della narrativa.