Chi mi ha visto?

Da Melusina @melusina_light

Mi sono persa.
E l’ho fatto così bene da insinuare forti dubbi perfino sul fatto che sia mai veramente esistita.
È ridicolo portare delle prove, possono essere tutte confutate facilmente. Già il solo fatto che io sia nata è riportato solamente su un pezzo di carta che si riferisce a un luogo che non esiste più. Se andate a cercare lì delle tracce, non troverete una casa di cura sul Canal Grande ma un condominio ristrutturato e diviso in appartamentini con affaccio sulla Ca’ d’oro. E i testimoni oculari dell’evento sono comunque morti tutti e non possono più parlare.
Il primo indirizzo conosciuto porta anche quello a una casa non più esistente. Qualcuno ricorda perfino le note esatte su cui cigolava il vecchio cancello, e giurerebbe sul numero di gradini che portavano all’ultimo piano, o saprebbe descrivere l’odore di arance e laguna che abitava i corridoi, ma la casa è stata abbattuta e quindi sono parole al vento anche queste.
Il vento è stato visto, dicono, ingaggiare con me una sfida di resistenza in fondo a un molo in certi giorni di inverno spietato e pulito che costringevano le coppie di innamorati ad aggrapparsi ai lampioni per baciarsi. Un paio di ragazzi di allora, ora uomini grigi e distratti, potrebbero vagamente ammettere di essere stati presenti, in tempi diversi ovviamente, ma tacciono per discrezione o forse per dimenticanza.
Scarsamente attendibile è la segnalazione di chi mi avrebbe vista con dei fiori bianchi in mano sul sagrato di una chiesetta romanica. Non credo in Dio né nel matrimonio, dunque come potevo essere io?
Fantasioso alimentare la leggenda che mi vede eroina fra i sofferenti. A chi non piacerebbe fare il medico come nei telefilm, salvare le vite, sconfiggere il cancro? Ma non esistono prove che lo abbia fatto anche io, non esiste ospedale in cui il mio nome compaia nell’organigramma, o paziente in grado di documentare un miracolo compiuto da me.
I più sentimentali si ricorderebbero di me nel cortile di una scuola con due bambine speciali, speciali perché così diverse, una bianca e una nera. Ma se gli chiedi di rintracciarle, non sanno più cosa dire. Trovatele, quelle due bambine, e magari nei paraggi troverete anche me.
E c’è chi è sicurissimo di conoscere il mio indirizzo attuale, e vi porta fin sul cancello, vi mostra trionfante il giardino: “Vedete, le sue rose! Vedete, i suoi gatti! È qui che abita, la vedo sempre con la tazzina del caffè alle sei di mattina”. Ma il giardino è incolto, le rose piene di afidi, i gatti poi lo sanno tutti che si arrangiano da soli. E guardate bene: il nome sul campanello è illeggibile, il sole lo ha stinto tanto tempo fa. E poi sarebbe davvero paradossale che, dopo essere nata di fronte alla Ca’ d’oro, ora vivessi in un paesello di campagna così banale e asfittico. Una delle due ipotesi contraddice l’altra, vistosamente.

Vorrei aiutarvi, darvi un indizio, ma non so nemmeno io dove sono finita. Anche le vecchie foto in bianco e nero mentono. Come quella lassù in alto, quella ragazza che legge in sottoveste nel vano di una finestra: ma è lì solo per sostituire un punto interrogativo. Le mie poesie che qualcuno avrebbe letto sono una fola: le ho bruciate tutte, e quelle che dovessero essermi sfuggite le rinnego ora, in blocco, per sicurezza.
Forse l’ultimo posto dove cercarmi è sotto una barca capovolta su una spiaggia, ma se davvero fossi là farei di tutto per non farmi trovare.
Chi mi ha visto, non ero io.


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