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Chi sono gli italiani che continuano a votare Berlusconi

Creato il 25 ottobre 2010 da Veritaedemocrazia
Chiunque creda nei principi della democrazia e, con obiettività ed onestà intellettuale, ripercorra questi ultimi venti anni di vita politica italiana non può non può non provare orrore e stupore di fronte ai successi elettorali di un personaggio come Berlusconi e della sua coalizione, vincente nel 1994, nel 2001 e nel 2008 e che tuttora viene considerato favorito, a leggere i sondaggi più diffusi (ai quali personalmente, detto per inciso, non credo), in caso di nuove elezioni.
In tanti hanno formulato analisi ed ipotesi per identificare e spiegare le ragioni di tale consenso e l’assoluta prevalenza che Berlusconi mantiene, con la Lega, in gran parte del nord e, da solo, in fondamentali regioni del sud.
La trasformazione della stratificazione sociale italiana, il degrado culturale di questo Paese operato dalle tv e dalla demolizione della scuola pubblica, la componente ideologica (l'Italia è un Paese fondamentalmente conservatore e reazionario?) che ammanta (con l'anticomunismo, la rivendicazione dei 'valori' tradizionali, la paura e l’esclusione dello straniero e del diverso, l'autoritarismo) la proposta politica della destra, la distorsione della contesa elettorale che viene realizzata dal dominio berlusconiano sulla informazione televisiva, il voto di scambio e l’incidenza delle organizzazioni criminali in particolare in alcune Regioni, l'influenza del Vaticano e delle gerarchie cattoliche che hanno penalizzato non i comportamenti concretamente immorali ed anticristiani ma l’enunciazione dei principi ritenuti in contrasto con la propria dottrina ed i propri interessi materiali, un ceto imprenditoriale italiano che di fronte alle difficoltà e ai momenti di svolta della storia preferisce affidarsi all'uomo della Provvidenza piuttosto che alla modernizzazione liberale e capitalista, il mito berlusconiano e cioè il sogno che il personale successo economico dell’Unto dal Signore potesse trasferirsi a chiunque lo votava, la debolezza e la inadeguatezza della proposta politica del centro sinistra e dei suoi ceti dirigenti che non hanno saputo proporre una visione alternativa a quella dominante e riuscito a rappresentare i ceti penalizzati dal berlusconismo.
Il tutto dando per scontato, e forse così scontato non è, che i risultati elettorali non siano truccati da brogli e rilevando in ogni caso che, stante il sempre maggior numero di persone che, per scelta deliberata o per disinteresse, si rifiuta di votare (astenendosi o introducendo nell’urna scheda bianca o nulla), la vittoria in realtà arride ad una minoranza, numerosa fino a diventare maggioranza relativa, ma pur sempre minoranza.
Cose dette e ridette e che se pure riescono a spiegare adeguatamente gli esiti elettorali del 1994 e del 2001, dove ha ancora senso parlare del sogno berlusconiano, non sono sufficienti a mio avviso per interpretare il quasi pareggio del 2006, dopo cinque disastrosi anni di governo, il ritorno alla vittoria nel 2008 ed il permanere del consenso attuale.
Se anche il voto è una merce e l'elettore ragiona e si comporta come un qualunque consumatore (questa è proprio la tesi esposta da Berlusconi) che può essere conquistato e sedotto dall'inganno pubblicitario ma le cui decisioni dovrebbero essere comunque improntate, secondo la teoria economica classica ma anche secondo buon senso, ad una base di razionalità come è possibile spiegare il persistente favore in termini di maggioranza relativa che mantiene la ditta Bossi e Berlusconi?
Quale consumatore (e così anche l'elettore) tornerebbe a servirsi dallo stesso fornitore nonostante le fregature ricevute?
Perché al centro destra, a differenza dello schieramento di centro sinistra, sembra essere perdonato tutto: la crisi economica, la litigiosità, i casi di corruzione e addirittura di collusione con la criminalità organizzata, i comportamenti immorali privati, un ceto dirigente e di governo impresentabile (basti pensare, solo per fare qualche nome, a Gasparri, Capezzone, Bondi, Santanchè, Calderoli ecc.ecc.)?
Lo stesso slogan del governo del fare, una volta squarciato il velo della propaganda mediatica, si rivela alla prova dei fatti niente più che una favola (si legga al riguardo l'analisi di Ilvo Diamanti) che non va mai oltre la politica degli annunci e che trova clamorose smentite nei dati dell’economia reale e nelle risposte alla crisi, nella ricostruzione in Abruzzo e nella gestione dei rifiuti in Campania, nella mancata realizzazione e nel mancato completamento delle opere pubbliche promesse.
Chi continua a pensare che tutto ciò sia esclusivamente il frutto dell’annebbiamento di menti e coscienze operato dall’informazione e dai modelli culturali imposti dalle tv berlusconiane ignora però un elemento fondamentale costituito dalla base sociale del berlusconismo.
Se infatti escludiamo tutto il contorno e andiamo al vero nocciolo della mission della destra berlusconiana e leghista, traducibile nelle parole egoismo e tolleranza della illegalità per determinati ceti, possiamo comprendere quale sia il suo elettorato di riferimento e le ragioni per cui lo ha votato e continua a votarlo.
Egoismo in salsa territoriale ed etnica con la Lega per poter rispondere alla crisi ed alla globalizzazione, egoismo come pretesa di non veder sanzionate lesioni della legalità economica, evasione fiscale e contributiva, violazioni delle norme sui diritti e sulla sicurezza sul lavoro con Berlusconi.
Se per la Lega il raggiungimento degli obiettivi dichiarati va misurato, oltre che in termini propagandistici e di centralità riconosciuta alla questione settentrionale, come trasferimento di spesa pubblica e di potere a favore del nord, per chi vota Berlusconi non conta l’effettiva realizzazione fattuale del suo programma. E' sufficiente la politica degli annunci e dell'apologia di comportamenti illegali ed antisociali. Screditare i magistrati, proporre piani di edilizia fai da te, stigmatizzare le tasse come furto a danno dei cittadini, togliere strumenti e risorse necessarie per funzionare ai fondamentali settori dello Stato (scuola, sanità, giustizia, forse di sicurezza, polizia tributaria), ipotizzare l’alleggerimento delle norme in materia di sicurezza e di diritti del lavoro anche se raramente si traduce in veri e propri provvedimenti legislativi diventa in qualche modo il via libera a tutti coloro che considerano la legge e le regole della convivenza civile un ingiusto impaccio alle proprie aspirazioni e pretese.
E' l'Italia che non so quantificare in termini di percentuali elettorali ma che si può definire nelle cifre stimate dell'evasione fiscale (200 miliardi di euro), della corruzione (70 miliardi), del fatturato della criminalità organizzata (120 miliardi) cifre che nella loro dimensione danno l'idea del potere che rappresentano e degli interessi che muovono.
E' l'Italia del sommerso, del 'nero', del doppio lavoro, del familismo e delle cricche, delle raccomandazioni e della corruzione, della rendita parassitaria e dei soldi all'estero, dell'impresa che rifiuta la concorrenza leale fondata sulla qualità del prodotto.
E' l'Italia che non conosce crisi e che forse può spiegare, con i soldi che riesce a far girare, la relativa sonnolenza sociale, se paragonata alle turbolenze di Grecia e Francia, del nostro Paese pur di fronte ad una crisi economica drammatica.
Il nocciolo della politica berlusconiana non è dunque il fare ma al contrario proprio il non fare, le è sufficiente per raccogliere il consenso creare le condizioni culturali e rendere le strutture pubbliche impotenti per favorire un feroce laissez faire. Ed annunci e provvedimenti concreti rappresentano esattamente ciò che il proprio elettorato si aspetta e cioè il via libera, al di là di leggi e controlli, al proprio selvaggio egoismo, al rifiuto di ogni soluzione collettiva e solidale ai problemi ed il sancire che l'unica legge che è giusto rispettare è quella del più forte.
Agire in violazione delle leggi formali, con la certezza dell'impunità, diventa addirittura più seducente dell'adozione di una legislazione liberista che quantomeno creerebbe delle condizioni di uguaglianza, ponendo chi fa della furbizia la propria filosofia di vita in una posizione di vantaggio rispetto a chi si ostina a rispettare la legge.
Al contrario, è proprio alla sinistra che sarebbe indispensabile perseguire, una volta al potere, una politica del fare nel momento in cui chi la vota non chiede la semplice gestione dell'esistente ma una trasformazione radicale o almeno in senso riformista della società.
Ed ecco che qui vengono i problemi. Le contraddizioni (sviluppo o ambiente? risanamento dei conti pubblici o più servizi sociali? conservazione delle caste politiche o legalità? più mercato o più diritti e garanzie per i lavoratori? lavoro dipendente o impresa? laicità dello Stato o ossequio alle gerarchie ecclesiastiche? ripudio della guerra o missioni 'di pace' all'estero?) insite nell'ampio schieramento di centro sinistra, la pretesa di voler servire Dio e Mammona, ceti popolari e grande capitale, impediscono di definire una proposta chiara e coerente, in grado di ricompattare il blocco sociale e culturale su cui fonda i propri potenziali consensi, di riportare al voto chi si è astenuto e di attrarre e convincere, con la credibilità e coerenza del proprio programma, chi è dall'altra parte.
Quali possibilità allora per il centro sinistra, al di là del collante antiberlusconiano e se non verrà approvata una legge elettorale proporzionale, di risultare vincente alle prossime elezioni e nel contempo se divenisse maggioranza di garantire stabilità al governo senza riproporre gli insanabili contrasti delle precedenti esperienze dei governi Prodi?
E in che modo le componenti radicali dell'opposizione - Federazione della Sinistra, Sinistra Ecologia e Libertà, Italia dei Valori – qualora risultassero determinanti in una maggioranza parlamentare potrebbero riuscire ad imporre con successo almeno alcuni dei temi e delle proposte su cui fondano la propria visione politica?

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