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Buon Natale. Che poi, in queste occasioni, è quello che più conviene scrivere su un biglietto. Rapido, asciutto, senza troppe pretese. Se poi il biglietto in questione, che sia colorato di rosso con tutti i sacri crismi o un semplice foglio di carta bianca piegato in quattro non importa, va scritto in fretta e furia una sera di metà settimana, proprio nella settimana tempestata dai mille impegni che di solito precedono il Natale, stiamo ipotizzando, ecco che queste due semplici parole appaiono più che sufficienti ad esprimere ciò che, in fondo, è un concetto tutto sommato semplice, e che può essere così tradotto, io ti faccio gli auguri affinché le festività natalizie siano quanto più felici possibile, cosa di per sé, se vogliamo essere del tutto onesti, nemmeno così difficile a realizzarsi. Il 25 dicembre, del resto, si passa a casa, tranquilli, in famiglia, con i propri cari o con qualsiasi altro sinonimo con cui si possa esprimere il fatto di non essere prigionieri della routine del posto di lavoro, sia esso un ufficio postale o, poniamo per assurdo, la corsia di un ospedale. Con questo esempio, è facile rendersene conto, creiamo subito le basi per una possibile, comprensibile, doverosa eccezione, è noto infatti che alcune attività, per l’importanza intrinseca che gli viene riconosciuta, non possono permettersi di fermarsi mai del tutto, nemmeno il giorno di Natale, figuriamoci per una settimana intera. Dell’ospedale, abbiamo detto poc’anzi, il che fa sorgere spontanea, la domanda su che senso augurare Buon Natale a quel malcapitato che, proprio quel giorno, ipotizziamo, ha la sfortuna di essere di guardia. Ma stavamo parlando di attività che, per l’importanza intrinseca che gli viene riconosciuta, non possono permettersi di fermarsi mai del tutto, nemmeno il giorno di Natale, figuriamoci per una settimana intera, quindi occorre, lo scrivo cogliendo nell’istante stesso in cui prima battevo sui tasti (e ora mentre leggo prima di stampare, e tra poco rileggerò sul foglio stampato prima di firmare in calce, come si suol dire) l’ipocrisia di tale affermazione in un testo del genere, andare con ordine. E’ il caso, per esempio, di quelli incaricati di condurre il camion dei pompieri, visto che i fuochi, si sa, non sono addomesticabili e divampano anche nelle fredde sere di dicembre quando avresti voglia di stare al calduccio della centrale, con una tazza di the tra le mani guardando TV spazzatura, anzi, forse lo fanno pure di più in questi giorni di fine anno, con tutte quelle candele accese per creare una bella atmosfera alle cene con i parenti e gli amici che non si vedono da un po’, il che è in buona parte opinabile, dato che a molti le suddette candele danno più l’impressione di trovarsi in un cupo cimitero nottempo che altro, il che mi permettere di avere buon gioco nel pensare ad un’altra attività che, difficilmente può mettersi del tutto in sciopero durante le festività natalizie. Sto parlando dei becchini o, per dirla in maniera almeno in apparenza politically correct, gli impiegati di pompe funebri. Discorsi atipici da buttare nero su bianco quando siamo quasi alla vigilia, figuriamoci su un biglietto di auguri di Natale, parola che, combinazione!, Guccini ha appena cantato in sottofondo proprio mentre la scrivevo, e termine che, mi pare, deve il suo nome proprio al fatto che si celebri la nascita di qualcuno, e fortuna vuole che in questa società del III millennio, digitalizzata in toto, io possa aprire una finestra in più sul computer dal quale scrivo e cercare su wikipedia la frase esatta che mi confermi quanto ho appena scritto, che dovrebbe suonare all’incirca così, il termine deriva dal latino natalis che significa relativo alla nascita, e, anzi, non solo suona così, ma è proprio questa, dato che, come era facile immaginare, mentre voi leggevate io mi cimentavo proprio in questa opera di ricerca, il tutto mentre, ipotizziamo, ascoltavo Guccini che, a onor del vero, è tutto meno che natalizio ma ha l’indubbio pregio di regalare ispirazione. E ce ne vuole, per dire Buon Natale.
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