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Chiapas: un viaggio semiserio/4. Un visitatore inatteso

Da Silviapare
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Il visitatore inatteso si presentò un mattino sotto forma di una estrema spossatezza. Avevo le membra pesanti, la testa imbottita di ovatta, pallini fluttuanti dinanzi agli occhi. I miei già quasi inesistenti muscoli mi avevano abbandonata durante la notte, sostituiti da una colata di piombo. Poi arrivarono i crampi addominali, e a quel punto mi venne in mente che chissà, magari potevo avere la febbre. D’un tratto la spaventosa verità mi apparve chiara al di là dei pallini: avevo incontrato il temibile Montezuma, il terrore del turista. Da quando ero arrivata in Chiapas, le voci sull’inesorabile vendetta del grande re atzeco trucidato dai conquistadores spagnoli mi avevano seguita dappertutto. Le sue vittime erano facilmente riconoscibili, smunte e affaticate, con quello sguardo rassegnato che ti diceva, ebbene sì, ha colpito anche me, e tu non credere mica di sfuggire. Non c’è nulla che tu possa fare, nessuna precauzione che tu possa prendere, Montezuma è nell’aria che respiri, nella mano che stringi, nelle lenzuola in cui dormi. Puoi bere solo acqua in bottiglia, mangiare solo pietanze cotte e disinfettare tutto, puoi nasconderti nel posto più remoto, nell’albergo più asettico, ma Montezuma ti troverà. E Montezuma quel giorno aveva trovato me. Ormai era tardi per chiedersi, nel delirio della febbre, se fosse stata quella bella bambina indigena a tradirmi, a consegnarmi al crudele torturatore che si stava accanendo sul mio intestino. Il giorno prima, in banca, avevo incontrato lei e i suoi fratellini mentre facevo la coda, erano timidi, la madre era diffidente, ma io li avevo conquistati tutti con la smorfia dello zombie. Quella dove si mettono in bocca le dita, magari sporche, e mentre si distendono le labbra si caccia fuori la lingua e si rovesciano gli occhi, e i bambini all’inizio si sconcertano, ma poi cominciano a ridere e sono tanto simpatici e tu ti diverti tanto e il giorno dopo ti sei beccata la diarrea del viaggiatore. 

Chiapas: un viaggio semiserio/4. Un visitatore inatteso

Sarà stata lei? Montezuma si nasconde nei luoghi più impensati

Giacqui nel letto stremata per un tempo incalcolabile, fra brevi momenti di veglia e lunghi precipizi di sonno febbricitante. Poi qualcuno bussò alla porta. “Señorita, telefono.” Scesi le scale, sempre accompagnata da un’allegra sarabanda di pallini. Al telefono era Sergio. Un tempismo perfetto. “Volevo invitarti a cena stasera. Così possiamo bere il vino che mi hai portato.” Stringendo la cornetta nella mano sudata, mi costrinsi a biascicare qualche scusa patetica, ma alla fine decisi che tutto sommato avrei fatto più bella figura se lo avessi ragguagliato sulla mia situazione intestinale. Chissà, magari avrebbe trovato un po’ di tempo per venire a trovarmi, fra una missione rivoluzionaria e l’altra.
Poi trascinai le gambe piombate su per le scale e mi infilai a letto, sprofondando nel crudele abbraccio di Montezuma. Venni svegliata, non so quante ore o giorni dopo, da un paio di discreti colpetti alla porta. “Avanti”, gracidai, e poi credetti che la furiosa vendetta azteca mi avesse compromesso anche il cervello. Davanti a me c’era un bel ragazzotto, un tipo biondiccio con la faccia giovane e pulita, o almeno credo, perché in quel momento l’unica cosa che riuscivo a mettere a fuoco tra un pallino e l’altro era un enorme bicchiere di succo d’arancia. 

Chiapas: un viaggio semiserio/4. Un visitatore inatteso

O forse avrei dovuto fare più attenzione a quello che mangiavo?

 (4/Continua)


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