Chiara Gamberale: una recensione ad personam

Da Icalamari @frperinelli

- Ah! E il post post-elettorale?

- A scuola e a casa non si parla di politica.

- Sei ridicola.

- E tu noioso, taci. Ogni cosa a suo tempo.

Chiara Gamberale
fotografata da Elena Fortunati

Ad personam, questa recensione, perché è di lei che parlo, non di uno dei suoi libri.

Chiara compare, scura su sfondo scuro, catapultata da una giornata scura in una libreria ricoperta da una boiserie scura.

- In mezzo a facce scure?

Ma no, in fondo è sabato pomeriggio.

La guardo, e mi pare di conoscerla (no perché, a scanso di equivoci, sono qui perché la mia amica Barbara me ne ha parlato, dei libri di Chiara, e ha voglia di incontrarla).

Mentre prendiamo posto io la guardo, appunto, appena troppo a lungo, al punto che lei forse pensa di conoscermi e, nel dubbio (ipotizzo), mi spalanca un bianchissimo sorriso. In breve si chiarisce che: è da poco tornata da una località remota, dove il sole l’ha tinteggiata dei colori dell’estate. Che il clima  freddo e piovoso la demoralizza come demoralizza me. Che, a partire da adesso, la serata ripiegherà luminosa verso l’alto. La sua comparsa ha un effetto taumaturgico. E io mi convinco che l’avrò anche già vista, è un personaggio pubblico, ma non ci conosciamo, con Chiara Gamberale. Nessun problema, di qui a poco duetterà con me come con gli altri intervenuti, tra complicità di sguardi e spiritosaggini, come tra vecchi amici. Nemmeno l’ho mai letta, ma inizio a sospettare che questo talento empatico non possa che rifletterlo nei testi.

Mentre l’aspettavamo, avevamo parlato del suo esordio autobiografico, Una Vita sottile. Lei nell’apprenderlo arrossisce, e le scappa detto “Oddio”. Mi intenerisco, e lancio un pensiero indietro, a quella cosa mia chiusa nel cassetto, della quale arrossirei anch’io se altri la leggessero. Ma Chiara sembra un leone nel corpo di un gattino: una che le sue paure le ha disintegrate, scegliendo di darle in pasto alla fame dei lettori.

Moorcheeba – Women loose weight

Chiara poi rompe il ghiaccio e si racconta.

Un’infanzia prodigiosa.

Al punto che lei -leggera, attuale, cangiante-, viene catturata dal marito Emanuele Trevi (finalista Strega 2013) -solido, preciso, ostinato (a detta della moglie)- e riportata bambina nel Libro della gioia perpetua, che include i racconti infantili di Chiara.  Avendo allora preso in simpatia il verbo “annuire”, oggi lei stessa li definisce noiosissimi: tutti i personaggi annuivano in continuazione e non succedeva mai nulla. Trevi invece ci è caduto dentro con le due scarpe e ne ha fatto un reportage autobiografico, una finzione narrativa che trasfigura e interpreta una realtà (il “manoscritto ritrovato”) forgiata attraverso tempi e vissuti lontani da lui. Entrandoci da protagonista postumo attraverso un atto d’amore letterario. Certo, presentato così, in quattro righe, anche inquietante, anzi, direi quasi cannibalesco.

In una bella recensione trovata online, vengono posti alcuni interrogativi (chissà se con risposta nel libro):

Di cosa era fatta la forza magnetica di quel quadernetto che inchiodava fisso Trevi [...]? E perché – come scoprirà più avanti – era stato scelto proprio lui dalla coppia per indagare su quel libro ( dopo che era apparso su rivista un suo racconto su un amore adolescente intitolato “La noce”) ?

Frutta secca e dintorni.

Inutile girarci attorno, la prima cosa che mi è saltata all’occhio, leggendo le trame dei romanzi di Chiara è la coincidenza esistente tra i nomi di Mandorla e di Amanda, de L’amore quando c’era (amande, in francese, vuol dire mandorla).

Ne  Le luci nelle case degli altri l’amata Mandorla viene chiamata così perché piccina e delicata. Ok, nomen omen. Però una mandorla è “il cibo ideale per la salute di nervi e cuore”. Mi sembra di cogliere che il racconto di questi personaggi, per chi li ha ideati, abbia una funzione quasi terapeutica. Di libro in libro, il testimone passa ad un diverso stadio di maturazione umana e sociale. E Chiara racconta anche che la sua formula narrativa assume una sempre maggiore complessità, passando dall’invenzione pura, all’autobiografia, all’allegoria, per approdare al romanzo corale, che scopre essere il suo ambito d’elezione.

Il giorno, infine, che le entra nella vita un certo Emanuele Trevi e, all’interno di un romanzo a lei ispirato, impone a un proprio racconto adolescenziale il titolo “La Noce”, sono nozze. Nozze con la frutta secca -pratica, saporita, ricca di nutrienti e di altre virtù-. Mica fichi.

L’approdo al carrello della spesa.

Oggi che ha alle spalle quasi vent’anni di professionismo polimorfico, Chiara dice che è Le luci nelle case degli altri il romanzo che le si è annidato dentro, il favorito. Spiega il suo perché, ma è presto ovvio che non può che essere lo stesso anche per chi l’ascolta (perfino in chi non l’ha nemmeno letto). Questione di ipnosi. La sua parlata cattura, accenna a fragilità che possono essere le tue, ti coinvolge in risate improvvise come se (allora non era un’impressione!) ci conoscessimo da sempre.

Ma non è il caso di fermarsi al passato, Chiara ci dice che la fatica successiva, Quattro etti d’amore, grazie, è in uscita per Mondadori (verrà presentato a Roma il 27 marzo alle diciotto alla Feltrinelli di Via Appia).

Qualcosa mi dice che lo leggerò. Qualcuno, anzi.

Io stessa, per la precisione, che mi sono ritrovata nelle sue descrizioni dei personaggi femminili, compresa quella dal rapporto in ascesa con una strana madre che va a svernare l’esistenza su un’isola lontana.

Io, che ho alzato prima l’uno, poi l’altro sopracciglio, a sentire che il suo primo lettore e recensore è Walter Siti (nientemeno).

Che da bambina ho pianto ore sul finale di Peter Pan e che mi sono ritrovata di nuovo con gli occhi inumiditi sentendo che l’esergo della prossima uscita di Chiara è tratta dalla versione Einaudi con prefazione di Manganelli, capisci a me.

Che ho le unghie fuscia, e lei le nota e diventiamo sorelle per un istante, quello nel quale condividiamo, lei in pubblico, io nel segreto della mia contorta mente, le strategie di sopravvivenza alle depressioni da post-stress.

Quindi alla fine siamo state tutte accontentate:  Barbara, che ha conosciuto e fatto domande alla scrittrice, io che ho virato al fucsia anche all’interno, e Chiara stessa che ci ha perfino ringraziate di averle risollevato la giornata.

Chiara mia, tifo per te. La prossima volta parlerò del libro.


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