In tempi come i nostri, caratterizzati da grande incertezza, avere le idee chiare non è una dote particolarmente diffusa, specie tra i più giovani. Chiara Passilongo, trentaquatttro anni, odontoiatra di Verona, ha dimostrato di averle e in abbondanza. Il suo splendido romanzo d’esordio, La parabola delle stelle cadenti, in libreria per Mondadori (qui la trama e la recensione) è stato il frutto di una passione e soprattutto di una determinazione non comuni, che ho avuto modo di apprezzare durante il nostro incontro e che mi hanno fatto pensare di non trovarmi di fronte a una meteora del mercato letterario, bensì a un’autrice che farà a lungo parlare di sè.
Concreta e cordiale, com’è nel carattere della gente del Nord Est italiano, Chiara Passilongo mi ha raccontato com’è nato un libro che inizialmente tutti le sconsigliavano di scrivere a causa della complessità del tema, poco adatta ad un esordio. Una perseveranza giustificata, la sua, visto l’accoglienza più che positiva del libro da parte del pubblico e della critica.
Conosciamo allora, più da vicino, questa promessa della letteratura italiana.
Chiara, appena si conosce la tua biografia ci si sorprende perché sei laureata in odontoiatria, attività che poco ha a che fare con la letteratura. Come è nata la Chiara Passilongo scrittrice?
So che può apparire stridente questo contrasto. Io in realtà ho seguito una tradizione di famiglia. Mio nonno era medico condotto e faceva il dentista del paese, mio padre anche. Inizialmente mi ero iscritta a lettere, perché fin da bambina avevo il desiderio della scrittura, ma ho lasciato per odontoiatria.
Pressioni? Sensi di colpa?
Sì, entrambe le cose, un po’ come accade ai personaggi del mio libro. Però, in fondo, la storia della letteratura è piena di medici-scrittori, quindi ho pensato che la professione non mi avrebbe impedito di seguire la mia passione.
Da dove è venuta l’idea che ha ispirato La parabola delle stelle cadenti?
Nel 2013 su La lettura del Corriere della sera lessi un racconto bellissimo di Mattia Signorini e scoprii che aveva appena aperto una scuola di scrittura a Rovigo, a un’ora e mezza di treno da Verona, dove vivo. In quel periodo avevo appena terminato la collaborazione con uno studio con cui non mi ero trovata molto bene, così avevo vari giorni liberi alla settimana. Mandai un mio racconto e venni ammessa alla scuola. Da sempre volevo scrivere un romanzo e avevo già il tema perché volevo raccontare ciò che vedevo nella mia realtà: persone che mi raccontavano di essere senza lavoro perché l’azienda per cui lavoravano era fallita, altre che si lamentavano perché i figli non riuscivano a trovare un’occupazione e poi bastava ascoltare il telegiornale per venire bombardati di notizie inquietanti sullo spread, sulla crisi, sugli imprenditori che si suicidavano… Così ho deciso di provare a raccontare questa situazione attraverso la storia di una famiglia. Volevo raccontare gli ultimi 30-40 anni del nostro paese, anni che ho vissuto anch’io, per sottolineare il contrasto tra gli anni del benessere che ho vissuto da bambina e adolescente e quelli attuali in cui la classe borghese italiana si va impoverendo.
Quindi avevi il tema chiaro. I personaggi, invece, come li hai trovati? Ci sono dei riferimenti autobiografici?
La storia non è quella della mia famiglia, non abbiamo mai avuto un’azienda né, per fortuna siamo mai falliti, però come per molte famiglie italiane anche su di noi la crisi ha fatto sentire i suoi effetti. Per alcuni personaggi di certo mi sono ispirata ad alcune figure parentali. Per Achille, che è il tipico imprenditore veneto che vive per la famiglia e l’azienda, dove le due cose coincidono, ho pensato a un prozio dal carattere burbero, uno che aveva fatto la campagna di Russia ma aveva un cuore d’oro.
Il titolo è tuo?
Sì, è mio. Ce l’avevo già in mente quando ho portato la sinossi del romanzo a scuola. A Mattia Signorini è piaciuto subito, e poi anche a Giulia Ichino e Antonio Franchini di Mondadori.
Con l’autrice dopo la nostra intervista per la classica foto ricordo.
Quanto è contata, secondo te, la scuola di scrittura?
Io credo sia stata importante. Già da adolescente avevo provato a scrivere dei romanzi, ma in genere mi bloccavo a metà, mi perdevo per strada, non scalettavo bene. Alla scuola ci hanno insegnato a lavorare prima di tutto sul concetto di sinossi. Sembra una banalità ma non lo è perché in 1500 battute bisogna riuscire a riassumere tutto ciò che si vuole esprimere nel romanzo. Se non ci si riesce, vuol dire che il libro non funziona. Poi abbiamo lavorato sulla scaletta, sulla divisione in scene, che ho trovato molto funzionale alla mia storia.
Al termine della scuola avevo scritto circa un terzo del libro. Dopo averlo terminato l’ho inviato a Mattia Signorini il quale era molto soddisfatto e l’ha girato alla mia attuale agente, Vicky Satlow. Così sono arrivata a Mondadori.
Ti immaginavi di esordire con un editore come Mondadori?
No, assolutamente. Era la mia massima aspirazione, ma non osavo ambire a tanto.
Qual è stato il complimento più bello che ti è stato fatto fino ad ora sul libro?
Mi è piaciuto tantissimo quello che ha scritto Antonio Franchini nella prefazione del libro che è stato inviato in anteprima ai librai e alla stampa. Mai mi sarei immaginata di ricevere un elogio di questo tipo e quando l’ho letto mi veniva da piangere dall’emozione (per la cronaca Franchini ha presentato il libro con queste parole: Questa parabola di destini che attraversano la ricchezza e la crisi ma non si arrendono e guardano avanti ha il ritmo di una serie televisiva americana, la forza di una pagina Instagram, in cui i capitoli si susseguono come istantanee delle vite narrate. Ma la giovane Passilongo dimostra anche una maestria nella scrittura, nei dettagli, nella costruzione dei personaggi, degna dei romanzieri dell’Ottocento, quelli che raccontavano una società, un mondo nel quale si muovevano personaggi nei quali il lettore si identificava, per i quali gioiva e soffriva, ndr).
Qualche osservazione che ti ha infastidito?
Finora, per fortuna, ho letto solo cose che mi hanno fatto piacere. Di sicuro prima o poi arriverà qualche critica, ma per ora non ne ho avute.
Qual è il tuo personaggio preferito nel libro?
Nora, la moglie di Achille. Nora è la donna che vorrei essere e che non sono. So che per una ragazza della mia età può sembrare un po’ anacronistico, ma io apprezzo molto le donne che hanno dedicato la vita alla famiglia e ai figli. Credo che al giorno d’oggi le donne abbiano ampiamente dimostrato di poter fare tutto quello che vogliono, nessuna scelta è obbligata, ma il personaggio ha un lato femminile che mi piacerebbe avere.
Alessio Boni che Chiara Passilongo vedrebbe bene nella parte di Achille
Nella mia recensione ho sottolineato quanto sia cinematografica la trama de La parabola delle stelle cadenti. Giochiamo a fare il cast del film? Magari porta bene…
Dunque, come Achille vedrei bene Alessio Boni, anche se poi andrebbe invecchiato man mano che procede il film. Per Nora, che è molto dolce, Anna Valle. Andrea lo farei impersonare da Riccardo Scamarcio, Gloria da Carolina Crescentini e Francesco da Eugenio Franceschini.
Le presentazioni per uno scrittore esordiente sono sempre una prova da superare. Tu come hai vissuto le prime?
Il battesimo di fuoco l’ho avuto con la serata di presentazione ai librai e giornalisti. Io sono abituata a relazionarmi con le persone nel “mio mondo”, ma questo è un tipo di rapporto diverso. L’emozione è grandissima. Quando un lettore ti racconta cosa ha provato leggendo il tuo libro e ti chiede la dedica, ti senti catapultata in un mondo completamente diverso dal tuo e, sarà banale dirlo, arrivi a toccare il cielo con un dito.
La tua famiglia come ha reagito a questo cambiamento nei tuoi orizzonti di vita?
Come in molte tipiche famiglie borghesi, dove la cosa importante è il lavoro produttivo, fino a qualche tempo fa tutti vedevano la mia passione per la scrittura non dico come una perdita di tempo, ma di certo come qualcosa di poco concreto. Dopo che è uscito il libro sono tutti diventati molto orgogliosi di me e hanno cominciato a sottolineare le mie qualità di scrittrice…
E adesso tra la penna e i denti che cosa sceglierai?
Be’ per adesso vorrei portare avanti entrambe le attività, poi si vedrà. Comunque è certo che mi piacerebbe scrivere un altro romanzo.
Hai già in mente una nuova storia?
Ho tante idee. Quello che ho capito è che mi si confanno le storie familiari, perciò è probabile che continui su questa strada.
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