Poi succede un altro fatto. Che uno dei massimi studiosi italiani del poeta di Arezzo si chiami Enrico Fenzi e in gioventù abbia fatto parte delle Brigate Rosse. Ora per farla breve, e correndo il rischio di semplificare troppo, costui ha militato nel gruppo terroristico e sfruttando il suo ruolo di docente di letteratura italiana presso l'Università di Genova in buona sostanza tentava di fare proseliti fra gli studenti per la causa terrorista. Siamo nella seconda metà degli anni '70. Nel '79 egli fu arrestato una prima volta, ma assolto per insufficienza di prove. Il 4 aprile dell'81 fu arrestato nuovamente e stavolta condannato, per cui alla fine si fece il carcere fino al 1985 e la libertà provvisoria fino al 1994. Poi uscì. Per la cronaca si dissociò dalla lotta armata nel 1982. E tutti questi sono altri dati.
Ora torniamo al convegno. L'università in questione, che poi è proprio quella di Genova, invita Fenzi a parlare sul Petrarca. E come succede in questi casi, tutto tace. Del resto, chi se le fila queste cose, se non i tipi di cui sopra? Poi a un certo punto la faccenda sale alla ribalta della cronaca e si alza un coro di sdegno e un'eco che rimbalza di proteste, di gente che si straccia le vesti, di anatemi. Cosa che è successa proprio qualche giorno fa. In prima linea c'è l'Associazione Italiana Vittime del Terrorismo che dice si tratta di un oltraggio ai caduti per mano delle Brigate Rosse. Scomoda anche le parole del Presidente Napolitano che il 9 maggio 2008, in occasione della Giorno della memoria delle vittime del terrorismo, disse:
"Chi abbia regolato i propri conti con la giustizia ha il diritto di reinserirsi nella società, ma con discrezione e mai dimenticando le sue responsabilità morali, anche se non più penali."Ma non ci sono solo loro. A destra e a sinistra, si sentono prese di posizione contro la scelta di invitare Fenzi a parlare sul Petrarca.
Pur nella rispettosa consapevolezza che ci sono persone che in quella sciagurata stagione di violenza e di terrore hanno perso la vita, se si vuole considerare il concetto nudo e crudo di "giustizia" e si vuole pensare che la "giustizia" valga ancora qualcosa, ovvero che una persona possa - grazie alla "giustizia" - pagare i suoi conti con la società e rimetterla al pari con essa, allora resto disorientato di fronte a tali reazioni, così veementi da convincere gli organizzatori extrema ratio ad annullare del tutto il convegno. Del resto credo che ci si possa porre nei confronti della questione, senza dubbio molto spinosa e delicata, solo in due modi.
1) Fenzi ha pagato? Allora perché non lasciarlo lavorare e vivere la sua vita? Fare una lezione sul Petrarca in qualità di grande esperto in materia quale egli è, va a confliggere con le sue "responsabilità morali" o va in contrasto con la "discrezione" di cui parla il Presidente Napolitano? L'Aiviter sostiene che il convegno onorava Fenzi. Dunque chiedere a un esperto di tenere una lezione su un poeta del '300 significa onorare l'esperto? Il fatto che lui "salga (di nuovo) in cattedra" (come faceva ai tempi) a parlare a un convegno sul Petrarca offende la memoria delle vittime del terrorismo? Con tutto il rispetto per esse, la faccenda, nella sua petrarchità, ha un sapore paradossalmente strumentale che finisce per far confondere la giustizia con il perdono, il Canzoniere con l'oblio. Permettere a Fenzi di parlare in pubblico sul Petrarca non significa assolverlo dai suoi peccati, né dimenticare quello che ha fatto e le gravi responsabilità che ha avuto. Ma non permettergli di farlo significa ritenere che la giustizia non sia mai abbastanza e che ci sia sempre bisogno di qualcosa in più, qualcosa che, proprio per questo, perde i connotati di giustizia e diventa, se non uno strumento di vendetta, quanto meno una ritorsione senza fine.
2) Fenzi non ha pagato? Questa assomiglia molto all'idea che un individuo (Fenzi in questo caso diventa solo un esempio) in fin dei conti non possa mai ripianare i suoi conti con la società, nel momento in cui la pena che gli è stata comminata presto o tardi gli consente di ritornare a fare parte della società stessa. In effetti da quassù non sento mai dire che questo o quello hanno pagato abbastanza. Da questo punto di vista l'annullamento del convegno, è la prova del fallimento della giustizia stessa, se non quella dei tribunali, di certo quella delle coscienze. In tal caso forse sarebbe meglio che si mettessero al bando le ipocrisie e si andasse in giro a manifestare a favore della pena di morte.