Fino a quando la Chiesa fu autorità incontrastata, la politica fu il portato storico del discorso teologico sul bene comune e sulla giustizia (1). Semplicemente non aveva senso una specificità del magistero sociale rispetto a quello morale e infatti dobbiamo aspettare la fine del XIX secolo per la prima enciclica specificamente sociale (2) e prim’ancora – anche se non di molto – per quelle che ne avevano configurato lo specifico (3), registrando l’avvenuto scollamento tra due dimensioni prima quasi interamente coincidenti: ecclesia e societas. È da quando la Chiesa perde il potere temporale e la sua autorità è messa più seriamente in discussione che nasce l’esigenza di trattare la politica come strumento scientifico in buona misura autonomo rispetto alla scienza teologica (4): superata la breve parentesi del non expedit, la pretesa di essere attore politico è avanzata dalla Chiesa in virtù di un diritto ordinario e la chiamata del cattolico alla vita politica è per il tramite dell’estensione della libertà di culto alla vita di relazione piuttosto che attraverso la pretesa di una fondazione teologica del sociale. In altri termini, la Lettera a Diogneto diventa manifesto politico dei cattolici più di quanto lo sia stato la Lettera ai Romani prima del 1870.
Se c’è modo di far rientrare dalla finestra il fondamento teologico del sociale uscito dalla porta, è attraverso una riscoperta – o, per meglio dire, una ripresa – della dialettica trinitaria che il neotomismo ha messo un poco in ombra (5). Dopo qualche tentativo fatto da Gianni Baget Bozzo una trentina di anni fa (6), a provarci è monsignor Giampaolo Crepaldi: “Il Dio cristiano è trinitario, ossia è un’unica Sostanza fatta di relazione fra tre Persone. La Trinità è così modello di ogni altra comunità, in quanto indica un nuovo piano dell’essere nel quale la relazione è essenziale e non secondaria ed accidentale” (Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa – Cantagalli 2010). Tentativo assai poco insistito, teologicamente velleitario e evanescente sul piano della giustificazione politica, insignificante se paragonato a quello di Baget Bozzo, che pure rimase poco ascoltato: monsignor Crepaldi mira al vademecum, non a riproporre una declinazione dialettica della sovranità sociale di Cristo, sarà che gliene mancavano le forze o l’ardire. Perciò, nelle sue pagine, il diritto della Chiesa è pretesa camuffata piuttosto che giustificata: “Il diritto alla libertà religiosa ha valore nel contesto del dovere di cercare la verità, e quando essa contrasta con la verità dell’uomo, non può essere assunto a diritto riconosciuto pubblicamente”. Libro fallito.
(1) Merio Scattola, Teologia politica, il Mulino 2007 – pagg. 13-156
(2) Leone XIII, Rerum novarum, 15.5.1891
(3) Inscrutabili Dei consilio, 21.4.1878; Quod apostolici muneris, 28.12.1878; Diuturnum illud, 29.6.1881; Libertas, 20.6.1888
(4) Significativamente, è nella discussione sul fondamento teologico del diritto canonico che la teologia rimane scienza sufficiente e necessaria, fino agli scritti di Giovanni Paolo II attorno al Codice del 1983 e, dopo, alla seconda parte della Deus caritas est (Benedetto XVI, 25.12.2005)
(5) Trinità in ombra (Malvino, 10.9.2010)
(6) Gianni Baget Bozzo, La Trinità, Vallecchi 1980 – pagg. 237-253
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