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Chieti - La scultura come cosmogonia

Creato il 28 gennaio 2011 da Pierluigimontalbano
Chieti - La scultura come cosmogonia
Il Guerriero di Capestrano e Il nuovo Guerriero di Paladino: accoppiata vincente
di Romano Maria Levante

Al Museo Archeologico nazionale d’Abruzzo, Villa Frigerj di Chieti, dal 26 gennaio 2011, in permanenza, “Al di là del tempo. Mimmo Paladino e Il Guerriero di Capestrano: la nuova sala”; al Palazzo De Mayo, sempre a Chieti, apertura dal 26 gennaio al 30 aprile 2011 della mostra “Mimmo Paladino e Il nuovo Guerriero.
Il “Guerriero” è forse la più importante scultura arcaica preclassica europea e di certo la maggiore d’Abruzzo, la sua nuova collocazione è una sorta di installazione di un artista contemporaneo, che per di più vi si è ispirato per la sua scultura Il nuovo Guerriero esposta con altre sculture in un percorso che da Villa Frigerj approda a Palazzo De Mayo. Lo storico palazzo è in fase di avanzata e radicale ristrutturazione per ospitarvi, oltre alle Fondazione bancaria Carichieti, una annessa struttura polivalente con biblioteche e spazi idonei a mostre d’arte e incontri letterari, conferenze e presentazioni, anche manifestazioni musicali: iniziative che animeranno la città a cura della Fondazione.
La presentazione dell’iniziativa è avvenuta il 24 gennaio 2011 nella sede dell’Associazione Civita, organizzatrice di mostre ed eventi culturali, a Roma all’ultimo piano di Palazzetto Venezia, nella sala conferenze contigua con la splendida terrazza che si affaccia sul Vittoriano. Il presidente della Fondazione chietina Mario Di Nisio – sponsor della nuova sala espositiva al Museo oltre che protagonista della mostra nella propria sede – ha parlato dei nuovi spazi del Palazzo De Mayo dove, oltre alla mostra di Mimmo Paladino, a lavori ultimati prima dell’estate potranno svolgersi iniziative per ravvivare stabilmente la vita culturale nel centro storico.
Cinzia Dal Maso, la giornalista che ha moderato l’incontro, ha commentato l’evento, aggiungendo un’interessante considerazione concernente gli accessi ai siti archeologici spesso posti a livello inferiore interrompendo la continuità e rendendoli staccati e avulsi, come a Roma a Torre Argentina per non parlare del Foro Romano: sono dislivelli che andrebbero rimossi per la necessaria continuità tra antico e moderno
Chieti - La scultura come cosmogonia
L’iniziativa sul Guerriero di Capestrano presentata dal soprintendente Pessina
Andrea Pessina, soprintendente per i beni archeologici dell’Abruzzo e Gabriele Simongini, curatore, hanno illustrato l’evento, anzi i due eventi paralleli e correlati, arte antichissima e contemporanea a braccetto.
Il primo evento è la nuova collocazione del “Guerriero” realizzata mediante l’ingegno di un maestro della scultura contemporanea che ha “disegnato” e realizzato un ambiente in grado di valorizzare le straordinarie qualità dell’opera ponendola “al di là del tempo”. Il significato di queste parole lo si comprende dall’illustrazione del lavoro fatto da un artista per il quale l’opera era divenuta una sorta di “ossessione”. Che lo ha portato a realizzare Il nuovo Guerriero per ricreare il fascino del Guerriero antico, e questo è il secondo evento, la mostra che comprende quest’opera e le sue sculture precedenti. La nuova sala con la preziosa opera del VI a.C. e “Il nuovo Guerriero” del terzo millennio vengono presentati insieme e sono esposto al pubblico in contemporanea, sia pure in due siti diversi, entrambi nel centro storico di Chieti, anche per l’inamovibilità del “Guerriero”: un “gigante dai piedi di argilla” molto delicato.
Ma ascoltiamo il soprintendente Pessina, mentre ricorda la genesi dell’iniziativa: l’idea gli venne quando notò l’intensa passione dello scultore per quell’opera dell’antichità che non meritava di restare confinata tra i reperti archeologici, anche se preziosi, ma abbisognava di un proprio spazio vitale che ne mettesse in luce tutto il significato. Anche perché non si tratta di un’opera isolata ma fa parte di una serie di statue giunte mutile, mentre il “Guerriero” è pervenuto miracolosamente integro ed è stato considerato l’incarnazione delle virtù italiche; al punto da essere esposto come tale nella mostra a Bruxelles nel 1938, quattro anni dopo il ritrovamento, con un guerriero mussoliniano che scaglia la lancia in puro stile littorio.
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Faceva parte di una struttura funeraria isolata, e “non raffigurava tanto un personaggio reale quanto un concetto, anche attraverso un sistema di segni con le codifiche di allora”. C’è maggiore attenzione alle armi che alla fisionomia, erano i segni dell’autorità e del prestigio nel comando militare e nella magistratura.
Il precedente allestimento lo vedeva affiancato alle altre sculture mutile, secondo la tecnica espositiva tradizionale. E brillano gli occhi al soprintendente quando racconta l’idea suggeritagli dal modo suggestivo con cui lo scultore Paladino gli parlava della sua “magnifica ossessione” per il ”Guerriero”; e dal modo con cui lo guardava, preso dai suoi pregi estetici persistenti e attuali, non dal fatto che è un prezioso reperto storico. Lo sguardo dell’artista coglieva dei contenuti riposti, che andavano messi in evidenza con un adeguato allestimento espositivo, da qui l’idea di costruire una scenografia adeguata intorno alla statua.
Ma c’è di più: l’“ossessione” di Paladino lo porta a concepire Il nuovo Guerriero che possa dialogare con il primo recependone i motivi salienti in chiave attuale con una tecnica e un messaggio aggiornati al mondo contemporaneo. Di qui l’inedito risultato di far cadere lo steccato tra arte antica e contemporanea con un testimonial d’eccezione dell’arte antica e una sua reincarnazione nel contemporaneo, per ora in un breve percorso tra il Museo e la vicina sede della mostra, ma in prospettiva, accenna il soprintendente, l’idea potrebbe riguardare lo spazio espositivo dei musei e dei siti archeologici facendovi entrare la contemporaneità per superarne l’isolamento e valorizzare la bellezza dell’arte, che non è solo reperto.
Vittorio Sgarbi ricorda spesso, aggiungiamo, che l’arte è sempre contemporanea se è vera arte perché mantiene nel tempo intatti i valori di forma e di contenuto. Perché allora non farla convivere con le espressioni contemporanee che nella forma e nel contenuto abbiano gli stessi valori permanenti? C’è anche un motivo pratico, verrebbero rivitalizzati siti e musei archeologici che, soprattutto nei piccoli centri, soffrono di una sindrome di isolamento ed emarginazione da contrastare con idee innovative.
Tornando al “Guerriero”, Pessina ha sottolineato che Paladino “si è tenuto a distanza dall’opera senza contaminarla ma creando l’atmosfera più adatta per accoglierla”; e ha mostrato l’ombra proiettata sul muro, con il caratteristico copricapo a dargli quasi un’aureola di santità ingrandita dalla prospettiva, in una proiezione particolarmente suggestiva. Ha creato così la “suspence” per la descrizione di cosa si è fatto, e perché viene definito “al di là del tempo”, di certo non soltanto perché risale al VI a.C.
Il curatore Simongini fa vivere in anteprima l’atmosfera intorno al “Guerriero”
Gabriele Simongini - curatore degli eventi presentati, il nuovo spazio espositivo del “Guerriero” e la mostra ad esso collegata – parte dal rapporto tra archeologia ed arte contemporanea perché lo scultore Paladino riconduce tutta la sua scultura a quell’opera antichissima, tanto che in una sua mostra a Firenze avrebbe voluto chiederlo in prestito come testimone muto, ma era una missione impossibile; invece ”il sogno nato dalla sua ossessione si è potuto realizzare perché è spuntata una stella cometa, il nuovo soprintendente che pensò subito a fargli creare uno spazio permanente del tutto inedito intorno al ‘Guerriero’”.
Paladino si è avvicinato “con discrezione e misura” al “Guerriero”, ribadisce Simongini, e fa avvicinare anche il visitatore con la stessa cura, in una progressione che nasce nell’antisala con una rete di legami che portano all’opera in modo graduale; i collegamenti poi si trasmettono al “Nuovo Guerriero” esposto nell’altro spazio a Palazzo De Mayo. Restando nel Museo, le altre sculture mutile dell’epoca e l‘ambiente tutt’intorno lo introducono senza sovrapporsi ad esso creando l’atmosfera “al di là del tempo”.
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In che modo? La sala all’associazione Civita pende dalle labbra del curatore come se stesse per decifrare un antico manoscritto, e in parte ci sono elementi del genere. L’innovazione principale è stata nella forma dell’ambiente in cui è collocato, da rettangolare è stata trasformata in ellittica in base al criterio che “il capolavoro archeologico genera lo spazio circostante”. E questo con un’operazione quasi fantascientifica che viene così descritta: “Al centro di quest’opera totale, fatta di spazi architettonici, graffiti ed illuminazione ad hoc, e che forse in futuro potrebbe perfino accogliere la musica, sta sempre e comunque il Guerriero di Capestrano la cui assoluta ed emblematica potenza geometrica è stata ribadita da Paladino con una mirabile intuizione spaziale: applicando la proporzione aurea, il cerchio del copricapo con il suo modulo di 65 cm. genera un’ellissoide (il cui asse principale è 13 volte il modulo,mentre l’altro equivale a circa sette volte e mezzo) che dà forma curva alla sala, spazio fluido, continuo, sospeso, senza angoli”. Cioè “al di là del tempo” che è scandito e misurato da svolte e cesure, laddove qui tutto è invece smussato.
Ma non per questo c’è lo spaesamento atemporale, il “Guerriero” è messo a suo agio, per così dire, con il colore della sua epoca nel pavimento e nelle pareti. Si è cercata la stessa pietra locale calcarea di cui è fatta la statua, la si è macinata per produrre il materiale utilizzato per pavimento e pareti in due tonalità: Il collegamento e la derivazione dell’ambiente, dunque, oltre all’aspetto architettonico riguardano anche quello cromatico: “come per la forma e lo spazio anche per il colore è il ‘Guerriero’ a generare l’ambiente”.
E poi nell’ “anticamera” ci sono i “compagni del Guerriero”, come la “Dama di Capestrano”, rinvenuta con lui. Siamo al culmine dell’arte arcaica che dopo la stele figurativa fatta soprattutto di incisioni e pochi rilievi approda alla statuaria a tutto tondo del “Guerriero”; l’ulteriore sviluppo sarà l’affidare i messaggi non più ai simboli del rango ma alle iscrizioni come nella “stele a erma di Penna Sant’Andrea”. Un percorso artistico non influenzato dall’arte greca ma forse da quella etrusca su una base originaria locale , in proposito vengono ricordate le “stele garganiche” come segno di primigenia e di identità da cui nasce il “Guerriero”.
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Il “Guerriero” si trova a casa sua anche per i graffiti che percorrono le pareti: “Non sono perentori come a Napoli dove sono netti e creano spazio, qui sono discreti e illuminati in modo misurato, quindi non interferiscono sull’unico protagonista”. Non potevano essere segni casuali o desunti da preesistenze, si tratta di “una scrittura originaria e insieme immaginaria”, con frecce e utensili, rami e animali, teste e clessidra: si pone in rapporto con iscrizioni paleosabelliche che hanno agito sulla visione di Paladino portandolo a creare una scrittura immaginaria da quella reale, collegata al contesto storico del “Guerriero”.
Qual è, in definitiva, l’immagine che si ricava da una collocazione così studiata e tanto elaborata? E’ stato creato uno “ spazio sacrale, come una cella del tempio antico” al quale si arriva dopo gli spazi introduttivi e preparatori con le statue mutile dell’epoca, i graffiti e quant’altro, quasi un “sancta sanctorum”.
In questo modo si realizza l’idea di Berenson di “educare al gusto del guardare”: e la scultura antica cessa di essere un mero reperto storico di civiltà sepolte e di essere presentata come un documento da archivio che in quanto tale non cattura il visitatore, “non crea l’empatia” dalla quale nasce la suggestione. Si è creata la “dimensione contemplativa sacrale” per recuperarne il valore estetico perenne. Al riguardo al curatore cita Shopenauer secondo cui “si crea l’empatia quando rapito in contemplazione non è l’individuo ma il soggetto puro al di là di tutto, del dolore e anche del tempo”, di qui l’aspetto “sacrale”.Perché questo avvenga occorre che ci sia qualcosa che vale, come lo straordinario “Guerriero”.
Una rapida descrizione del Guerriero di Capestrano
Descriviamolo rapidamente, dopo l’esserci accostati virtualmente e averne colto la proiezione altamente suggestiva dell’ombra sullo schermo sopra al tavolo degli oratori mentre parlava il soprintendente.
Trovato nel 1934 e restaurato frettolosamente anche per la ricordata mostra di Bruxelles, assomma in sé tante qualità come espressione più compiuta dell’arte arcaica preclassica forse europea, comunque un’icona simbolo per l’Abruzzo. Alto più di due metri ed integro, ricavato da un unico blocco di pietra del luogo, a parte il largo caratteristico copricapo incastrato successivamente sulla testa. Varie interpretazioni all’insolita foggia e dimensioni del cappello, considerato anche un elmo o un simbolo del sole, mentre si pensa possa essere il segno del ruolo, forse sacerdotale. La corporatura è forte ma non proprio tipica di un guerriero, e questo confermerebbe l’ipotesi del ruolo rituale anche per la sua collocazione nella necropoli.
D’altra parte, le armi di cui dispone sono tipiche del guerriero, e appaiono definite nei particolari molto di più della figura, cosa che ha un suo significato: due lance sui piastrini ai lati, una spada con elsa a croce sul torace con un coltello, un’ascia a forma di trapezio ad occhio stretta al petto; e poi una corazza a forma di disco sul petto e sulla schiena nei punti vitali, due mitre che pendono dalla cintura a protezione della parte inferiore del corpo. Non solo armi,però, vi sono anche ornamenti e pendenti evidenziati dal colore rosso.
Siamo nell’età del Ferro, si trovava in una necropoli alle sorgenti del Tirino, non si sa se in prossimità di una tomba a tumulo, forse un simbolo di potere militare e aristocratico posto a guardia del luogo funerario, dove peraltro con i corredi vengono di norma esaltati i simboli del rango e del censo nelle singole sepolture
Un’iscrizione verticale in caratteri sudpiceni è stata trascritta così: “ma kupri koram opsùt ani[ni]s rakinel?ìs? pomp? [ùne]i”. E viene interpretata da La Regina come opera dello scultore Aninis, al quale vengono attribuite altre opere arcaiche medio adriatiche, come la statua mutila femminile anch’essa da Capestrano; altra interpretazione è che Aninis sarebbe il committente, il soggetto ritratto il misterioso Pomp della scritta, presunto capo locale ritratto con le insegne del rango. Più che una bottega di scultura, un modello iconografico seguito per una serie di altre opere arcaiche di cui si ha traccia nell’esposizione.
Abbiamo concluso con un enigma concernente il nome dell’autore e del personaggio rappresentato la descrizione del Guerriero di Capestrano. Iniziamo con un enigma quella del “Guerriero”, la reincarnazione in chiave contemporanea della potente figura arcaica realizzata dallo scultore Paladino che ha ideato il nuovo ambiente sacrale per esporre l’opera del VI secolo avanti Cristo. L’enigma sono le tegole che sostituiscono le armi, idea venuta “in progress”perché, dice Simongini, nella realizzazione presso gli specialisti di Faenza, nel bozzetto originario c’era ancora una lancia; intanto vediamo due tegole.
Le tegole sottolineano il valore architettonico e non solo plastico della scultura, nel concetto che l’opera crea architettura, il copricapo è visto come un tetto. E’ un’immagine totemica anch’essa possente, alta metri 2,56. In terracotta perché, dice lo scultore, “questo materiale dalle proprietà elementari e trasformative richiama la forza arcaica della pietra calcarea con cui è stato scolpito il Guerriero di Capestrano”.
“All’ombra della notte dei tempi, un’aureola di futuro” la definisce il curatore riassumendone la genesi. Nasce all’ombra del “Guerriero” proveniente da epoche remote, e conserva il coprIcapo che diventa però un’aureola proiettata in avanti nel tempo. Lo scultore collega così antichità e contemporaneità inquadrando la compenetrazione museale prospettata da Pessina nella propria arte personale, dove c’è l’“ossessione “ di cui abbiamo parlato: “La mia cultura visiva nasce da un’idea di stratificazione, con immagini figurative e non figurative, talvolta anche decorative e minime… Una storia frammentata e ricostruita, una storia di passaggi e di tracce dove un frammento di testa romana si incastra con un blocco di epoca precedente. Poi vengono i longobardi che aggiungono altro ancora e allora tutto diventa un collage di elementi astratti e figurativi, oppure irriconoscibilmente figurativi”. Il collante di tutto questo l’identità del territorio, “nella cultura del meridione, in quelle architetture e in quelle opere fatte di segni necessari e, tuttavia, anonimi”.
Questa sua visione risulta dalle opere esposte nella mostra di cui ”Il nuovo Guerriero” rappresenta il culmine, possiamo dire che svolgano in qualche modo la funzione dei “compagni del Guerriero o comunque dei componenti del “corredo” tipico dell’antichità. Sono tuttavia qualcosa che va ben oltre. Così le 75 piccole sculture in bronzo che incrociano la storia dell’umanità e le vicende epiche di conquiste e difese dei propri territori con il percorso artistico dello scultore, vanno dal 1984 al 2010; e le grandi sculture in bronzo, “Carro”, “Elmo” e “Cavallo”; e come non ricordare il suo monumentale cavallo blu di oltre 4 metri installato nel 2009 all’Anfiteatro del Vittoriale del grande abruzzese Gabriele d’Annunzio?, In più la suggestiva terracotta “Senza Titolo” creata con il celebre Spalletti di cui colpisce la tenerezza della figura.
“Non a caso Paladino, in molte sue sculture – nota Simongini – libera la figura e l’oggetto dalla loro relatività rendendoli ‘eterni’ anche tramite l’accostamento a forme geometriche , cristalline, astratte”. Ancora più direttamente: “Così la singola presenza figurale e oggettuale è isolata dal flusso ininterrotto dei fenomeni e delle apparenze e giace in un’immobile punto di quiete diventando necessaria e inalterabile”. E’ proprio questa la cosmogonia nella scultura e, come si intitola la mostra, “la scultura come cosmogonia”.
Compresenza di figurazione e di astrazione, dunque, come nelle civiltà paleolitiche con l’aspetto naturalistico e razionale insieme a quello astratto e metafisico, uniti in una visione fantasiosa e poetica. Ciò consente di superare il tempo, fissando l’istantanea in un’immagine persistente che si sente perenne. Per questo fino alla realizzazione è esposta ai cambiamenti che nascono dall’imprevisto e dall’intuizione improvvisa sopravvenuta, di qui gli interventi correttivi ”in progress” di cui abbiamo detto; così l’opera compiuta spesso è ben diversa dai molti schizzi preparatori. Del resto stabilità ed evoluzione, forme fisse e mutevoli sono espressioni compresenti alla ricerca di un equilibrio che si realizza nell’opera finita la quale così può collocarsi fuori del tempo pur con echi che vengono sin dal remoto mondo arcaico.
Il curatore lo ha chiamato “novello Giano bifronte con un volto rivolto al passato e l’altro verso il futuro”, che porta “al di là del tempo” e alla “scultura come cosmogonia”. Come mostra “Il nuovo Guerriero”, che ci riporta alle origini ancestrali ma nello stesso tempo ci fa sentire come siano compenetrate nel nostro tempo. Sempre Simongini nota, parafrasando Huberman, che “l’opera di Paladino ‘ha più spesso memoria e avvenire di colui che la guarda’. O, almeno, rappresenta anche una sfida per tutti noi a recuperare parte delle nostre memorie archetipe per immaginare meglio il futuro”. E questo creando “un cortocircuito fra passato, presente e futuro che ricorda il concetto bergoniano di durata”.
Ebbene, Il nuovo Guerriero esprime plasticamente, nella sua maggiore esilità e quindi fragilità rispetto al Guerriero di Capestrano, solido e possente, tutte le incertezze e i timori per un futuro che ci vede inermi e indifesi, disarmati come lo è la sua figura. Ma dà anche la consapevolezza fiduciosa di un futuro che possiamo costruire, fino al tetto, per il quale porta le tegole protettrici, con un’immagine che lo vede anche partecipare alla costruzione del nuovo suggestivo spazio architettonico per il vecchio ”Guerriero”.
Sono due operazioni che si riassumono nel commento finale del curatore Simongini, e ci sembra la conclusione più appropriata a questo tuffo in epoche remote della storia e dell’arte, “al di là del tempo”: “Contemplare il mondo dal punto di vista originario per vivere più profondamente il proprio tempo: di fronte alle sculture di Paladino si ha questa sorprendete rivelazione”.
Fonte: Archeorivista

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