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Prima o poi sarebbero arrivati i dischi giusti per Chris Robinson dopo i due tentativi di New Earth Mud e This Magnificent Distance. Ha dovuto fare il rituale della grande luna per fare centro ma d'altra parte Chris con la psichedelia, il cosmo, le erbe e i viaggi lisergici ci è sempre andato a nozze. Big Moon Ritual pubblicato nel giugno scorso e The Magic Door reso disponibile a neanche due mesi dal precedente si presentano con copertine che fanno tanto album degli Yes ma le sinfonie e i virtuosismi di tastiere, che sono quelle di Adam McDougall un altro Black Crowes, qui centrano poco perché sono piuttosto i Grateful Dead di Jerry Garcia i santoni di questo rituale. Big Moon Ritual è un disco psichedelico nel più classico dei modi, dalla copertina ai brani lunghi, tutti di durata al di sopra dei sette minuti, dal suono svolazzante e chitarristico, del tutto rilassato comunque, alle atmosfere cosmiche, sognanti, visionarie. Chris Robinson dopo avere suonato un centinaio di concerti tra la West Coast e New York ha realizzato il disco che ha sempre sognato di fare, un disco che focalizza il lato psichedelico dei Black Crowes con ballate lunghe, sinuose, che si evolvono attorno ad una frase-tema ampliandola e dilatandola secondo una progressione strumentale da jam band. Non c'è molta attenzione al formato canzone in Big Moon Ritual, qui il bruciante rock/soul dei Corvi Neri è messo in armadio a vantaggio di un work in progress che vede le chitarre di Neal Casal involarsi in lande extraterrestri seguite dalle tastiere di McDougall e dalla brillante sezione ritmica di Mark Dutton al basso e George Sluppick alla batteria. E' una formula che si ripete dalla prima all'ultima traccia, Robinson canta aiutandosi con la sua chitarra acustica, ad un certo punto passa la palla a Casal e McDougall, questi sviluppano in piena libertà il tema base girovagando per il cosmo, jammando e improvvisando, attorcigliandosi e defluendo nel tema principale per lasciare la parola ancora a Robinson che rientra ignorando bridge e refrain, come stesse conducendo un monologo alla luna, poi di nuovo gli strumenti riprendono il viaggio astrale ed il brano si allunga fino a sciogliersi nell'etere. Nessuna irruenza, nessuna frizione, nessun selvaggio furore rock come coi Black Crowes, questa è musica per la mente più che per il corpo, suoni dilatati dell'universo Dead. Star Or Stone e, se non fosse per l'inciso di moog, anche Reflection On A Broken Mirror sembrano degli estratti di Wake Of The Flood e poi ballate pastorali, un pò di Rolling Stones (Rosalee), fantasie psichedeliche morbidamente trattate jazz, passaggi che fanno pensare agli episodi più onirici di Amorica, qualche scampolo di country psichico lasciato indietro da Before The Frost Until The Freeze, questo è il new cosmic California sound.
The Magic Door è sulla stessa falsariga del primo, copertina in stile orientaleggiante, stessa band, stesso produttore, Thom Monahan (Vetiver, Pepercuts, Devedndra Banhart) e probabilmente stesse session di registrazione al Sunset Sound di Los Angeles: il risultato è un altro fulgido disco di new cosmic California sound, un suono che evoca gli illustri passati del Fillmore West e del Topanga Canyon, oggi ancora in grado di mandare in visibilio migliaia di estimatori a cominciare dai lettori di Relix e dei fans dei Grateful Dead. Ma non solo, perché The Magic Door è la porta magica su una concezione del rock n'roll che prevede libertà espressiva a 360 gradi e capacità di espandere la fruizione sensoriale secondo uno stretto rapporto corpo-mente.
Tutte le tracce superano abbondantemente i cinque minuti, con una escursione record nei quasi quattordici minuti di Vibration & Light Suite, una cavalcata lisergica che tra momenti estatici e pindariche evoluzioni strumentali, in primis la chitarra di Neal Casal mai così vaporosa, riflette la nuova avventura cosmica e mistica di Chris Robinson. A dirla tutta The Magic Door è anche meglio di Big Moon Ritual perché qualche forzatura progressive là presente qui si è definitivamente sciolta in un attitudine jam che rivela disinvoltura, affiatamento, rilassatezza., La conferma viene proprio dal brano più lungo, Vibration & Light Suite che sgorga liquido e senza grumi con una melodia ariosa che irradia benessere e vi trasporta nei paesaggi più luminosi della West-Coast music evocando Big Sur, le onde del Pacifico, il surf, i Quicksilver, il viaggio, un'era felice e spensierata di comuni illusioni. Non è un esercizio passatista e di revival perché Robinson e i Brotherhood non suonano con la carta carbone, inventano del nuovo, sono creativi e moderni e sanno come cambiare scenario per non ripetersi e tediare, a metà della lunga suite difatti induriscono i suoni secondo una mai sopita attitudine rocknrollistica e arricchiscono il tutto con un atteggiamento jazzistico che regala libertà di improvvisazione. Vibration &Light Suite è la dimostrazione di quanto possano essere visionari Chris Robinson Brotherhood ma non è la sola perla di The Magic Door. Il loro essere eclettici riesplode negli otto minuti e mezzo di Sorrows of Blue Eyed Liar una ballata lenta che cresce attorno al cantato dolente di Robinson e poi si invola nel cosmo con le magnifiche tastiere di Mac Dougall a disegnare paesaggi astrali e la chitarra di Casal che fluttua nel vuoto.
Che Chris Robinson continui ad essere il miglior rocker della sua generazione lo conferma la ruvida ripresa del classico di Hank Ballard Let's Go Let's Go Let's Go e una Little Lizzie Mae sospesa tra echi di Stones virati country, refoli di jazz e scoppiettanti botti sudisti, perché qui Neal Casal si dimentica dell' Lsd e si procura una bottiglia di buon bourbon. Della stessa sponda è anche Someday Past The Sunset un rock sporco da marciapiedi di Los Angeles, un solitario peregrinare nel buco nero della città con la bestia dentro ed una gran voglia di dimenticare tutto. Sa di alcol, di blues, di Black Crowes, di peccato e di slide, quella che Casal mette in strada per trascinare i Brotherhood su per il sudicio Sunset. Splendida.
Sono invece delle ballate Appaloosa , nientemeno che il brano che compariva in Before The Frost Until The Freeze qui leggermente riarrangiata e Wheel Don't Roll che col suo sapore agreste e pastorale, segnata comunque da un tocco di chitarra alla Jerry Garcia, ricorda gli episodi più rootsy di quell'album dei Black Crowes.
Due dischi eccellenti che se fossero stati assemblati assieme sarebbero stati l'assoluto capolavoro rock di questo 2012.
MAURO ZAMBELLINI SETTEMBRE 2012
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