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Chris Robinson Brotherhood al Fabrique, Milano, marzo 2016

Creato il 08 marzo 2016 da Zambo
Chris Robinson Brotherhood al Fabrique, Milano, marzo 2016(foto dal sito della CRB) 
C’era tutta la noblesse ieri sera al Fabrique. Marco Denti, Zambo, Vites, Francesco D’Acri, il Cifo, Fabio Cerbone, Fabio Treves… È stata la parte migliore, peccato non aver pensato di farci scattare una foto ricordo. O meglio, avevo pensato di scattarla dopo lo show, ma alla fine io al Fabrique non c’ero più. L’occasione era quella di trasformare per un paio d’ore la grigia Lombardia nel sogno hippie californiano, con un gruppo intimo ma di stirpe come la Chris Robinson Brotherhood. Per Chris ho un debole, specie da quella volta che abbiamo scambiato due chiacchiere nel backstage del Pistoia Blues Festival. Lui era il leader del Black Crowes, i Rolling Stones degli anni duemila, quanto i Wilco ne sono i Beatles (anni duemila in senso lato e filosofico, se i loro album plurimilionari risalgono all’inizio degli anni novanta…). E poi c’è il fatto di essere stato marito di Kate Hudson, la Penny Lane di Almost Famous, il film rock su un gruppo immaginario non troppo distante dai Crowes. Robinson con i Crowes ha un fascino forte. Scrivevo di lui: “L’impatto forte della sua immagine è un mix fra un novello Mago Merlino ed un androgino Jesus Christ Superstar, magrissimo, a piedi nudi e con i lunghi capelli lisci che fa vorticare in ogni direzione mentre danza un incessante ballo ipnotico che non interrompe neanche nei lunghi strumentali dei due chitarristi. E come uno sciamano espande sul pubblico il magic spell del suo incantesimo psichedelico, che scaturisce come una fonte dal potente southern rock di canzoni d’impatto come Good Friday, rendendo un poco alla volta lo spettacolo sempre più ipnotico fino a portare gli ascoltatori in trance. Flower power, psichedelia e hard rock”.
Poi si è un po’ stancato delle aspettative attorno al gruppo, e ha trovato un divertimento personale in un gruppo nato come quasi amatoriale, la Brotherhood, con cui suona per i club californiani di fronte ad un pubblico ridotto e spesso occasionale. Hanno registrato tre dischi, che hanno un fascino discreto, ispirato alla nuova psichedelia della west coast (vedi Jonathan Wilson), che poi è il bonsai della vecchia psichedelia.
Purtroppo per noi, il pubblico, quello che era uno spin off è diventato il gruppo principale, e Chris ha tolto la spina ai Crowes. Quella di ieri sera era la buona occasione per assistere ad un concerto home made, un’occasione rara qui alla periferia dell’impero. Avendo ascoltato qualche registrazione dal vivo della Brotherhood, sono arrivato allo show carico di pregiudizi, ma alla fine anche con la segreta speranza di ricredermi e rimanere sorpreso. Speranza vana: i CRB sono come vedere i Grateful Dead senza Grateful Dead.
Se l’ispirazione è decisamente quella, il paragone non si pone neppure: dove l’architettura musicale del gruppo di Garcia è potente e delicata, come un aliante che prende quota e velocità, così l’airplane di Robinson e soci è pesante e incapace di prendere il volo. La ritmica è elementare e pesante, mentre Chris, sempre dotato di una bella voce, lascia perdere tutto il suo carisma sul palco, per limitarsi a suonare senza infamia e senza lode la chitarra ritmica. I brani scorrono lentamente senza sorprese (una scintilla qua e la, che non si sviluppa mai), abbelliti ogni tanto dalla solista di Neal Casal e appesantiti dal mini moog di Adam MacDougall (che nei Black Crowes suona l’organo).
Anche se il pubblico si è mostrato generoso e soprattutto affamato di rock, il sentimento principale era la noia, che ho cercato di stemperare al bar, prima di decidermi a uscire, io e Linda, ad affrontare la notte milanese. Anche il locale, di per sé decisamente carino, non è il posto ideale per ascoltare la psichedelia del quintetto: li avremmo goduti di più sdraiati sul pavimento come all’UFO Club, o ancora meglio sull’erba di qualche prato californiano - anche se di sicuro mi sarei addormentato.
Fuori all’aria frizzante notturna di fine inverno, mi ha stupito invece Milano, da cui in definitiva mancavo da molto tempo: il caso mi ha condotto in un posto onirico, grattacieli illuminati alla Blade Runner attorno all’austero Cimitero Monumentale, ed il quartiere cinese dove ragazzini inquietanti dagli occhi a mandorla uscivano da enormi limousine che neanche pensavo esistessero. C'erano almeno altri due concerti a Milano ieri sera, Jesse Malin e un gruppo giovanile all'Alcatraz, di cui ho beccato l'uscita ed erano tanti tanti e tanto giovani. Serata conclusa a mangiare pollo fritto in un locale aperto 24 ore su 24, 7 sere su 7. Cose che un country di Woodstock Valtrebbia come me non si aspetta.

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