“Non puoi attraversare il mare semplicemente stando fermo e fissando le onde”
Rabindranath Tagore
Già accostato dalla stampa a un “sound rarefatto e quasi ultraterreno”, e passato attraverso l’album d’esordio Urban Mantra (2008, concepito sulle montagne appenniniche di Santa Sofia) Chris Yan si abbandona a una navigazione stanca e trasognata, che invece di cedere alla corrente, la canta e la ipnotizza, volgendola a favore di un disco a cui non fa certo difetto l’ispirazione evocativa.
L’album si apre nel segno di alcuni seminali tracce emerse a prua nell’inizio del viaggio, con l’odore di grandi travi di legno che bagnate da basse onde, non perdono la proprietà esile dei loro corpi grandi ma effimeri, come ci ricorda la “scricchiolante” introduzione e alcuni passi successivi (“Intro”, “X chiama Y”). Ma il mare di Chris Yan è anche approdo in quei privati luoghi dell’anima in cui queste composizioni hanno guidato l’autore, e in cui si tracciano alcuni intermezzi poetici ripetuti nel disco e proclamati da una voce di ninfa suadente e sinistra, sia in greco che in italiano. Ecco che giungiamo così al dono più prezioso e “classico” di un disco emotivamente evocativo, i morbidi passaggi di “Tele e malilingue”, la catarsi lacerante di “Circe aveva torto (E io sono ancora vivo)”, la vibrante e meditativa “Argo”. A margini rumori, vocalizzi minori, organetti, fisarmoniche giocattolo e quant’altro abitano il disco e rendono nota un’attitudine più sperimentale e che trova compiutamente spazio in “Nostos”, “Il mare d’inverno” e nelle restanti tracce.
“Liberati! Vieni tra noi
Lascia i tuoi compagni
Lascia la navigazione senza meta…
Scendi Ulisse, scendi!”
Non so se Chris Yan sia sceso o sia ancora a prua, o non so neppure come classificare da copione un disco che si muove tra minimalismo che trabocca visioni sincere e pratici classicismi e sperimentazioni. Ma l’ascolto di Mnestereophonia ora scorre placido e misurato, e questa dozzina di tracce marine e fetali aspetta, o per dirla con le parole dell’autore, “piccole navi, col motore spento, aspettano un segnale dal faro….. così lontano”: quando un privato abbandono tornerà a chiamare questa dolcezza visionaria saprà rispondere. In fondo a cosa serve l’arte se non a darci degli strumenti di navigazione?