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Christian Tito sull’ultimo libro di Francesco Tomada

Da Narcyso

Col suo solito entusiasmo, Christian Tito glossa l’ultimo libro di Francesco Tomada; un esercizio di lettura per ogni lettore degno di questo nome: entusiasta, coinvolto, sottile…e un po’ bambino.

La promessa degli addii.

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Avevo letto alcuni testi di Francesco Tomada attraverso la rete. L’impressione fu quella di trovarmi di fronte alle poesie di un poeta vero, di una voce realmente importante e, data la rarità con cui vengo pervaso da queste sensazioni quando frugo nella nostra poesia contemporanea, mi ero ripromesso di addentrarmi prima o poi integralmente nella sua opera. Un passo prima di questa immersione il destino ha voluto che entrassi in relazione con Francesco , entrambi chiamati ad un progetto che ci è parso bello e a cui, in virtù di quella bellezza percepita, abbiamo felicemente aderito. Difficilmente riesco a scindere lo spessore, il timbro e le sfumature di un’opera d’arte dalle qualità umane dell’artista che l’ha prodotta e devo dire che conoscere Francesco ha solo rinforzato quell’idea di spietata verità che tanto mi aveva affascinato nella sua produzione poetica.

Eccomi dunque finalmente di fronte ad un suo libro completo, l’ultimo: “Portarsi avanti con gli addii” uscito recentemente per Raffaelli Editore, impreziosito dai magnifici disegni di Anton Spacapan Voncina e corredato da un vero e proprio ( per me utilissimo ) saggio in postfazione di un ispirato Fabio Franzin il quale riflette non solo sul libro, ma sull’intera produzione di Tomada ossia anche sulle due precedenti raccolte “L’infanzia vista da qui” (edizioni Sottomondo, 2005) e “A ogni cosa il suo nome” (Le voci della luna, 2008). Devo dire che col titolo, appena ricevuto il libro, non entro in immediata sintonia, ma mi basta la lettura di appena una decina di pagine per capire che in realtà risulta perfetto e che questo poeta, davvero, calibra con maestria ogni vocabolo che usa dando l’impressione di un rispetto oserei dire sacro verso il peso che le parole possono avere. Sì: possono, ma non è certo che l’hanno. Il segreto di questa possibilità a quanto pare, leggendo Tomada, è racchiuso in un’unica semplice parola, appunto: testimonianza. Col valore della testimonianza ogni vita può nascondere in sé un nucleo di verità e importanza e l’opportunità di farsi segno universale, ma se siamo così fortunati che a partire da queste fondamenta per edificare su di esse un’opera sia un poeta, possiamo essere certi che avremo incontrato quella che credo sia la più solida e longeva delle poesie possibili. Ecco allora che alla vacuità di belle parole messe in fila e spacciate per poesia da un sistema colluso e forse in se stesso incapace di poter assegnare “a ciascun poeta il suo peso” Tomada oppone la scintillante bellezza di una scrittura nitida, chiara, brutalmente diretta e, al contempo, profonda da penetrare le ossa e giungere fino al midollo.

In apertura del libro la sezione – Penso sempre a tante cose – si apre col testo “Liberaci dal bene” composto da tre piccole prose poetiche le quali mi sembrano nient’altro che una dichiarazione programmatica di ciò che il libro sarà, di cosa potremo aspettarci da esso, ma soprattutto la dimostrazione di quella sacralità vissuta da Francesco in prima persona nei confronti della vita tutta che lo porta a smascherare senza giudicare ( altro tratto distintivo e rarissimo ) la miseria umana di chi vive anche ciò che dovrebbe essere sacro (ad esempio il proprio rapporto con la religione e i suoi riti) solo come gesto abitudinario e spento.

Ogni domenica mattina la signora che abita sotto di me va alla messa.
Di fronte alla chiesa c’è il centro di accoglienza, lei spera che prima o poi lo spostino altrove, troppi arabi e neri da queste parti, una volta non era così, dice.
Mentre ritorna a casa ci incrocia sulle scale e nemmeno saluta. Tanto per oggi si è garantita il suo pezzetto di paradiso.

O a vedere e a tentare di fare vedere ( a chi “vorrà” e “potrà” vedere) l’esistenza di anime salve incarnate nell’esistenze più fragili, appartate e silenziose come quella del generoso pittore Roberto.

Ogni domenica mattina Roberto pittore va in osteria, poche decine di metri più in su nella via. Quando in casa si rompe qualcosa lui viene subito .
Ieri ha perso tutto il pomeriggio per aggiustarmi un rubinetto, doveva proprio andare ma è rimasto.
Ha chiesto solo dieci euro. Io ho insistito ma lui: per tre bicchieri di rosso bastano e avanzano, ha detto.

O a rivolgersi a quel Padre Nostro, cioè di tutti, di cui non nega l’esistenza, ma che come per il suo amato ( e spesso citato ) De André è così in alto nei cieli da non riuscire a vedere certi angoli o dettagli di mondo. Proprio in virtù di questa falla, di questo apparente buco di considerazione, i dettagli prova a metterli a fuoco lui, Francesco, in tutto il libro, attraverso la lente d’ingrandimento della sua sensibilità. Ma, dicevamo, a quel Dio ( si badi “quel” Dio: piccola rappresentazione proiettiva di una certa “piccola” ma abbondante porzione di umanità ) chiede di dimenticarlo ( come il poeta afferma di aver fatto a sua volta con “l’ Altissimo” ) guarda caso proprio nel giorno del giudizio. Qualora però quel dio fosse proprio costretto a giudicare l’operato delle singole vite umane, gli chiede ancora di ricordarsi del buono, Roberto, e a fare ciò che vuole della signora imbruttita, perché lui, il poeta, nonostante registri l’imbruttimento possibile all’uomo, proprio non ce la fa a condannare. Dunque il titolo “Liberaci dal bene” mi permetto di pensare sia solo una provocazione dell’Autore che vuole rovesciare i piani di percezione comuni e superficiali delle cose.

Padre Nostro che sei nei cieli, tanto in alto nei cieli da non riuscire a vedere Piazzutta e la sua cucciolata di case.
Nel giorno del giudizio dimenticami, io stesso l’ho fatto con te.
Della signora fai quello che vuoi.
Ricordati invece di Roberto pittore, perché la vita è una somma algebrica di piccole salvezze.

Lo dico apertamente, questo libro è per me talmente bello e maturo, che sarei tentato di dire qualcosa a proposito di ogni suo testo (io che non sono mai riuscito a scrivere una recensione per una sorta di blocco o timore reverenziale verso la poesia riuscita). Proprio in virtù di questa bellezza, invece, proverò a scegliere solo una poesia da ciascuna sezione per preservarne il mistero e lasciare a chi vorrà leggerlo il piacere profondo della scoperta.

Sempre dalla sezione “ Liberaci dal bene”

V.

Mezzo vuoto mezzo pieno

Io ti osservo e penso sempre a tante cose
che vorrei avere più tempo e più attenzione da te
che invece per i figli sei presente e ti consumi
come io non sarei mai capace

ma anche quando resto ai margini di te
comunque c’è bellezza nel vederti
in fondo
neanche i fiori fioriscono per noi

Vi confesso che quando ho letto questo testo ( che mi ha letteralmente commosso) ho dovuto scrivere a Francesco che mi è sembrato di vedermi allo specchio di mio fratello. Si può aggiungere qualche parola a cotanta umanità e bellezza? Credo di no.

La seconda sezione si intitola “ Terra di nessuno” in cui l’Autore usa la sua terra di confine ( è nato ad Udine, ma vive a Gorizia ) come strumento concreto d’indagine ma anche come metafora.
Questa è una delle sue poesie che a me ha colpito particolarmente per la profonda pietas che in essa si respira.

Le donne della Seleco

Le ho viste uscire alla fine del turno
camminando ma senza toccare il suolo
guardando i lampioni ma senza vedere
la luce e mentre svanivano le ho
immaginate aprire la porta
baciare i figli scaldare in forno
la cena e poi ripulirsi e a volte
giacere sotto un marito qualsiasi
con l’aria di chi da anni ha imparato
che manca sempre mezz’ora di troppo
alla fine del giorno

La terza sezione dal titolo “Otto polaroid da Campoformido” mi mette seriamente in difficoltà per la scelta di un solo testo. Provo a farmi da parte e a non cedere alla tentazione di esporre la poesia ( comunque geniale, come sono spesso molte poesie di Tomada) sui miei amatissimi gatti. Scelgo questa che altro non fa che confermare quell’impressione di spietata lucidità e verità che questo poeta mette nella sua ricerca, ma soprattutto nella sua vita.

III.

Eravamo questo:
passare tutti i giorni dopo la scuola dal signor Mario
che mi insegnava a lavorare il legno
fino a quando tu non mi hai detto
non puoi andare sempre, non sta bene
e io Mario sta bene, non è malato
e tu hai capito cosa intendevo
e invece no davvero, madre
io capisco tutto così tardi
anche il motivo per cui Lia
veniva a trovare papà sempre di mattina
quando in casa non c’eravamo mai

Ecco dunque la sezione “Portarsi avanti con gli addii” che dà il titolo all’intera raccolta. In essa la poesia III la vedo come una di quelle poesie d’amore che dovrebbero essere insegnate a scuola prima di contaminare i bambini con le nostre
piccolezze.

III.

A conti fatti

Lo puoi vedere ancora nei miei occhi:
sono stato un bambino con poca gioia

invece il tuo sorriso esplode spesso senza alcun motivo
allora ho pensato che ne potesse avanzare per me
e anche per altri

per questo è nel tuo ventre
che ho cercato i miei figli

La sezione “Via degli Orzoni” dedicata alla madre e alla sorella, è probabilmente la più cruda e dolorosa. Inevitabile se in essa si affronta la perdita della propria madre e quella prematura della sorella. Ma, l’abbiamo già detto, Tomada, gli occhi di fronte alla vita, anche nei suoi aspetti più traumatici e sofferti, non li chiude mai. Poesie come questa sono il risultato del suo coraggio.

VI.

Anime salve

Dieci anni fa cambiavo i vestiti ai miei bambini
lavavo la loro nudità e lo sporco
prima di averli pensavo che mi avrebbe impressionato
e invece no

oggi faccio lo stesso con te
e quel pudore assoluto che ci ha sempre accompagnati
non esiste più, non c’è vergogna
in nessuno dei due

ho imparato prima ad essere padre
e solo dopo figlio
appena in tempo, mamma, ma ce l’ho fatta

adesso puoi andare

L’ultima sezione “ E poi, noi” affronta riflessioni molto intime in primo luogo con i suoi legami più stretti: la moglie, i figli, il padre, figura emblematica di un rapporto complesso, ma suo malgrado, formativo per lo sviluppo dell’identità del poeta, del riconoscimento di sé e dei suoi bisogni nonostante il padre, come tanti, troppi padri, sognava un figlio diverso. Ma scelgo di chiudere questa recensione ( ? ) con un testo dedicato a uno dei suoi figli perché parla di cose semplici anche se dure da vedere ed accettare; esattamente come la splendida poesia di Tomada.

VIII.

Quello che posso insegnare

Intanto impara le cose semplici
non come ieri che hai attraversato
la strada senza guardare
per la paura poi ti ho abbracciato
gridando

hai spiegato che non si sentiva
il suono di nessun motore

intanto impara le cose semplici

le auto di domani saranno sempre più silenziose
e non è detto che chi ti sta aspettando
sia sempre qualcuno che ti vuole bene


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