§.la promessa di Malvina.§
Greta rimirava con aria stralunata il suo riflesso sui vetri smerigliati del portone del palazzo, mentre scrutava la strada aspettando, come ogni venerdì sera – da sei mesi a questa parte – l’arrivo dell’auto di Marco. Erano passate le nove di sera, e Marco come al solito ritardava. Un sospiro a denti stretti, un buonasera infilato a casaccio nell’incontrare la coppia dell’ultimo piano, uno sguardo al display luminoso del cellulare per controllare l’ora esatta per poi ingannare il tempo nel contare quante palline dorate quest’anno addobbavano l’Albero davanti alla portineria. Il primo pensiero di solito era catastrofico:
Avrà senza dubbio bucato!
Oppure : E’ senza benzina!
Oppure ancora: C’è troppo traffico!
mille scusanti le galleggiavano in testa, gonfie come bolle di sapone pronte a evaporare. Perchè Marco dei suoi ritardi cronici ne aveva fatto un suo personale cavallo di battaglia. Giungeva all’appuntamento sul filo di lana della pazienza, sfibrava le speranze di poter vedere un film sacrosantamente sin dai titoli di testa, e non a metà del primo tempo, spiazzava con lo squillo dell’ultimo minuto sul cellulare posticipando perenemmente il suo arrivo di almeno un quarto d’ora -almeno a parole. perchè nei fatti il quarto d’ora si traduceva in tre quarti d’ora. 45 minuti che Greta trascorreva in compagnia dei gatti del cortile interno, salutando di tanto in tanto i suoi condomini che rincasavano mentre lei attendeva. giù in quel limbo, in quella terra di nessuno, impossibilitata a risalire in casa, perchè avrebbe dovuto dare una serie infinita di spiegazioni ai suoi genitori che, ignari di tutto, la consideravano ormai già al cinema oppure al ristorante in ottima compagnia. invece lei attendeva, stoicamente e fiduciosamente, rintanata in un angolo dell’androne i fari dell’auto di Marco.
perchè quella sera era una sera speciale per loro due e Marco non si sarebbe nemmeno lontanamente permesso di deluderla, ne era certa. perciò aspettava fiduciosa. aspettò e attese, nonostante le lancette del suo orologio pareva avessero preso a rincorrersi. Dalle dieci, alle undici a mezzanotte meno un quarto il salto fu breve, anzi brevissimo. Greta non riusciva a capacitarsi. Fissava stranita il quadrante del suo piccolo orologino, mentre i piedi rinchiusi in quel paio di stivali dal tacco vertiginoso le chiedevano pietà. Stanca e disillusa, si diresse verso l’ascensore, mentre un babbonatale di cartapesta le faceva ciaociao con la manina. Aveva atteso troppo quella sera, e in quell’ora fatidica promise solennemente a se stessa che in futuro mai più avrebbe aspettato il fantasma di un amore fortemente idealizzato.