Restiamo in tema di supereroi, chissà perché. Ancora una volta, scopro di essere in totale disaccordo con chi frequenta IMDb e spara giudizi che non hanno né capo né coda.
Non appena un qualunque autore si azzarda a superare la linea tracciata dagli standard in materia, viene crocifisso.
Secondo me, questa volta, Chronicle e il suo regista Josh Trank sono stai puniti perché al supereroe manca il costume, per il conflitto e per la decisione di gestirlo in maniera rude, più che abbandonarsi al solito alla rivincita dei nerd, che tanto cara resta nell’immaginario collettivo dei liceali americani.
Nessuna rivincita, ma, come appare più concorde alla natura conflittuale del prototipo nerd, avvilito e frustrato da una vita sociale che non può avere, vittima del suo stesso disagio, una crescita esponenziale dei problemi che sono già propri, fino alla catarsi, violentissima.
Visione ingiusta e limitata, tanto quanto l’opposta, che lo vuole vincitore a tutti i costi, con al fianco la bella della scuola. E tuttavia, nel senso qui sviluppato, molto più apprezzabile e privo di ipocrisie.
Protagonisti tre studenti che, durante una festa, vagabondando nel bosco confinante con la proprietà, s’imbattono in un elemento di origine sconosciuta che dona loro qualcosa.
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Chronicle è come appare, sviluppo gustoso di tematiche arcinote.
I tre protagonisti hanno caratteri ben delineati, e fin da subito si capisce chi dei tre è destinato a portare equilibrio, a fare da mediatore, e chi a sfogare tramite le nuove capacità acquisite il dolore subito dalla vita.
Evidente, quindi. E nessuna sorpresa. Ma non importa.
Il film, non è dichiarato, ma è altrettanto palese, si ispira ad Akira. Il potere sviluppato dai personaggi è la telecinesi che, verso la fine, tende a evolvere in telepatia, visto che i tre sembrano interconnessi a livello emozionale. Telecinesi che consente loro di compiere qualsiasi azione, attaccare, difendersi, volare. Proprio come in Akira, con effetti altrettanto letali.
Girato come un mockumentary, i tre infatti vogliono documentare ciò che accade loro. Nella parte finale il regista fa i salti mortali per assicurare al film le riprese, per mantenere la finzione, introducendo altro tipo di telecamente quando è ormai chiaro che i protagonisti non sanno più che farsene dei loro filmati e/o sono impossibilitati. Questi salti mortali si sentono, e in certi casi appaiono come forzature (la scena dell’ospedale, soprattutto).
Ultimo aspetto, la CGI. Oramai, anche in produzioni di questo tipo, a basso budget (circa 12.000.000 di dollari), raggiunge vette incredibili. A parte qualche sbavatura, la qualità degli effetti è allo stao dell’arte. Evidente soprattutto nel rendez vous cittadino. Ma anche nella manipolazione dei piccoli oggetti, o nelle fasi del volo.
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