Chuck Kinder, L’ultimo danzatore di montagna. Dure lezioni in materia d’amore, sconfitta e vita da fuorilegge, pref. Christian Frascella, trad. Manuela Francescon e Giovanna Scocchera, Fazi Editore, 2009, pp.535, € 19,50
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di Francesco Sasso
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È fin troppo facile, ma del resto inevitabile, rintracciare connessioni e corrispondenze tra le origini e le esperienze di vita di Chuck Kinder ed i contenuti evidenti o profondi delle sue opere.
A questa pratica è lo scrittore stesso che del resto ci obbliga, a partire dalla scelta del nome del protagonista, che è il suo. Anche gli altri protagonisti dei suoi romanzi ricalcano nella diversità delle situazioni una condizione esistenziale che fu la sua e genera quello che potremmo definire il paradigma dell’inetto (di novecentesca memoria) in salsa USA, quello per intenderci dell’aspirante scrittore fallito, drogato, alcolizzato, fedifrago, costretto a ripiegare nell’insegnamento universitario, ma comunque saldamente inserito nel contesto di un sistema di vita intellettuale vivo.
In L’ultimo danzatore di montagna il protagonista decide di prendersi un anno sabbatico per poter scrivere un libro sul suo paese d’origine, il West Virginia, una terra di montanari, fuorilegge, zoticoni alcolizzati, clan vendicativi, fantasmi e di misteriosi uomini-falena.
Il protagonista inizia a percorrere le strade del West Virginia alla ricerca di storie da inserire nel libro, con il recondito desiderio di rimettere ordine nella propria vita. Infatti, egli non sa scegliere fra la sua seconda moglie, sposata oltre vent’anni fa, e la sua ultima giovane amante; non può rinunciare alla marijuana e all’alcool; non può smettere di dire menzogne ad amici e sconosciuti.
«Ero un uomo sulla cinquantina. Un professore universitario. Pieni di speranza per il futuro, i genitori mandavano i propri figli al college per essere istruiti da professori come me. Mandavano le loro figlie nubili. Io ero un professore universitario di ruolo attualmente in anno sabbatico per poter fare ricerca, riflettere e scrivere, ed eccomi lì, armato fino ai denti, ad accompagnare quei bifolchi, tradizionalisti e vendicativi dei miei famigliari in giro sotto la pioggia che si stava facendo nera e fitta. Ero un professore universitario sulla cinquantina diretto verso quella che poteva diventare una sparatoria di iniziazione cerimoniale, più sanguinosa della battaglia di Matewan, e mi sentivo felice come una pasqua» (pp.388-389)
Dalle pagine del libro emerge un West Virginia primitivo, ultimo residuo di un selvaggio west in declino, dove gli uomini si affrontano a suon di cazzotti, revolverate e coltelli per poi commuoversi ascoltando una mielosa canzone country; dove alcuni vivono in roulotte ai margini di boschi, dove l’alcool scorre a fiumi e dove le storie di fuorilegge e fantasmi convivono in modo naturale.
Quindi il libro è un collage di storie che ruotano intorno al West Virginia e alla famiglia del protagonista. Ma tra tutte le vicende narrate, una emerge come emblematica: è il personaggio Jessico White, l’ultimo danzatore di montagna, un ragazzo violento che, dopo una cruenta sparatoria, emerge dal coma per aver sentito la voce di Elvis Presley che lo incitava a non mollare. Da quel momento, egli inizia a venerare il Re Elvis, a danzare e, in breve, diventa l’attrazione principale della Contea.
Per concludere, questo libro è la storia romanzata del West Virginia, storie vere con un sacco di parti inventate di sana pianta, come confessa l’autore durante la narrazione.
f.s.
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