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Chupacabra

Creato il 19 giugno 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Chupacabra
“In che cosa posso esserti utile, straniero?”
La voce affettata del becchino mi trapanò il cervello prima che i timpani.
Acqua chiara”, ordinai. “Una pinta.”
Il becchino dietro al bancone reagì all’ordine inarcando il sopracciglio sinistro: “Un ricco. Se ne vedono pochi oggigiorno.”
“Non sono quello che pensi. Solo un ladro.”
Il becchino non si scompose: “I soldi per l’acqua chiara ce li hai. Non fa differenza.”
Posò con riverenza il boccale sul bancone, con la mano allungata pronta a ricevere il denaro.
Lasciai scivolare due monete nel palmo del becchino, che subito ritrasse la mano per nascondere i denari nella scarsella che teneva appesa alla vita: “Non ci pensare.”
“Non ci penso”, lo rassicurai: “Non amo far fuori quelli come te.”
“L’avevo capito. Volevo sentirtelo dire.”
Sbuffai. “L’avevo capito, anch’io.” Poi presi a bene, lentamente: non mi capitava spesso di bere acqua chiara.
“Come mai da queste parti?”
“Non sono affari che ti riguardano.”
“Sei qui per…” Ma non completò la frase, aggiustò invece un ghigno maligno sul volto smunto e rugoso. “Prima o poi tocca a tutti”, sentenziò, ed esplose in una risata secca, come se nella gola gli fosse esplose una carica di tritolo.
Era odioso, ma mi ero ripromesso di non dargli corda.
“Prima o poi…”, cantilenò, e non la smise più.
Avrei dovuto assestargli un pugno in mezzo alla faccia, tra naso e bocca, e invece alla fine glielo dissi: “Sono uno di quelli, uno che non conta.”
“Sì, lo sapevo.”
“Già! Però volevi sentirmelo dire.”
“Esatto.”
“Che intendi fare?”
“Quanto manca al tramonto?”
“Chi può dirlo! Potrebbe essere fra un’ora o fra dieci o chissà quando…”
“Sempre nuvoloso da queste parti.”
“Le nuvole non si fanno pregare, costituiscono uno spesso sudario da diversi anni oramai. La città ci ha fatto l’abitudine e anche gli abitanti.”
“I pochi che sono…”
“…sopravvissuti. Esatto. Non molti in verità.”
“Rende bene questa attività però.”
“Potrebbe andar meglio. Non è più come ai bei tempi.”
“Intendi dire con il dopoguerra…”
“Cadaveri a palate, non si faceva in tempo a seppellirne un centinaio che subito ce n’erano altri mille. Altri tempi.”
“E’ per questo che vendi l’Acqua chiara.”
“Ce n’è poca per i vivi, e i morti scarseggiano.”
“Becchino, forse perché i vivi sono una rarità!”
“Possiamo dire che è così.”
“Te la cavi bene comunque, Acqua chiara e Inumazioni, non ti puoi proprio lamentare.”
Restammo entrambi in silenzio: il becchino mi guardò dritto negli occhi, quasi volesse vedere quanto mi restava da vivere, poi distolse lo sguardo attirato da una mosca impertinente che era entrata nel locale.
“Non se ne può più di queste mosche. Una volta erano i piccioni, oggi le mosche.”
“La città è cambiata.”
“Straniero, meglio che ti guardi le spalle. Qui è pieno di chupacabra.”
“Come dappertutto. Non mi dici niente di nuovo.”
“Allora buona fortuna, ladro”, tagliò corto il becchino.
La conversazione era finita.
Gettai gli occhi proprio sul fondo della pinta: non avevo lasciato una sola goccia. Meglio così.
Uscii dal locale senza accennare né un saluto né una bestemmia.


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