Bello, bravo ed elegante, Massimo Masiello, reduce dal successo discografico di “Dodici”, il suo ultimo cd in cui ha inciso brani classici della tradizione napoletana arrangiati in un’inedita e seducente chiave moderna, torna sulle scene con “Ci sono anch’io” (in prima nazionale al Teatro Bolivar fino all’11 novembre), uno spettacolo dedicato alla tradizione, oramai scomparsa, del Varietà e, anche in questa circostanza, il recupero della tradizione napoletana, italiana e internazionale, è stata condotta coniugando l’attenzione e la cura dell’interprete con la leggerezza e l’esuberanza dello showmen.
Gli arrangiamenti, nuovi e trascinanti, realizzati dal maestro Gaetano Cassese, fanno da volano alla voce di Massimo Masiello che si muove sulla scena con l’agilità e la spontaneità di chi riesce a trovare facilmente l’empatia giusta con gli spettatori: Massimo Masiello canta e seduce il pubblico, passa attraverso brani dai registri e dalle temperature più disparate, rievoca atmosfere e situazioni diversissime ed è sempre in grado di costruire quadri scenici come fossero istantanee di un tempo, forse non troppo lontano, in cui era possibile fare un teatro d’intrattenimento e di qualità, in cui per cantare e per divertire non bastava avere una bella voce, bisognava essere “animali” da palcoscenico, bisognava conquistare il pubblico e farlo sognare, farlo commuovere e farlo perdutamente innamorare.
Così, l’artista napoletano, diretto dall’ottimo Enzo Castaldo che firma anche le coreografie – lo show si avvale infatti di quattro brave ballerine - trascorre dai toni da rivista inizi ‘900 a quelli propri del tabarin, passando per la dimensione del café chantant, della balera e del varietà anni’70: un universo di sogni, amori e desideri a volte semplici, altre irraggiungibili, sempre meravigliosamente ingenui, quasi teraputici, se visti dalla prospettiva dell’uomo contemporaneo schiacciato dallo stress di un consumismo che consuma tutto, anche le utopie.
Massimo Masiello incarna con disinvoltura il ruolo del viveur da avanspettacolo, facendo rivivere il personaggio del maliardo creato da Carlo Dapporto e quello intramontabile di Gastone del grandissimo Petrolini ed è divertente ed ironico quando recupera la tradizione della macchietta napoletana, tradizione in cui canto e recitazione si fondono nella burla e nel gioco di parole.
Strappa applausi a scena aperta quando intona le canzoni da giacca, scendendo in platea per il celebre “Cinematografo” o quando canta “Non gioco più” che ci fa volare alle favolose edizioni di Canzonissima degli anni ‘60 o “Ma che musica maestro” inizio folgorante della carriera della Raffaella nazionale.
Tra i vari successi, ci sembra opportuno ricordare due interpretazioni di grandissimo impatto emotivo tratte dal repertorio di Charles Aznavour , “L’istrione”, che nella traduzione italiana fu un successo anche di Massimo Ranieri e soprattutto l’emozionantissima “Quel che si dice”, canzone di Aznavour a tematica gay che in Italia fu censurata e che Masiello ci restituisce con grande intensità, avvolto in un maestoso boa di piume di struzzo rosso fuoco.
Infine, urge segnalare anche la perfetta rifinitura testuale, curata dall’esplosiva Gingy Comune, che fa da prezioso bordone di raccordo tra i diversi quadri e i diversi momenti della messinscena.