Ci sono cose buone dal Nazismo e dalla Repubblica Sociale Italiana (RSI)?

Creato il 06 marzo 2012 da Tnepd

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Gli insuccessi finanziari ed economici che l’Unione Europea sta inanellando anno dopo anno sono visibili a tutti, non è più un mistero. Le ultime inizioni di denaro (LTRO I e LTRO II°) sono l’ennesimo tentativo di tamponare i mostruosi buchi bancari creati dalla speculazione del sistema bancario-finanziario ormai senza più regole e controlli. Il denaro erogato è a sua volta utilizzato non  per l’economia reale, asfittica e morente, ma solo ed esclusivamente per consentire al sistema bancario di sopravvivere, permettendogli di salvare il savabile. I responsabili della politica finanaziaria europea dovrebbero essere codannati per direttissima per “genocidio sociale” e destituiti ad un tribunale speciale per crimini contro l’umanità, ma la politica latita e questi impostori agiscono nella piena libertà di rivoltare le economie delle nazioni europee a vantaggio del sistema che li ha voluti in quelle posizioni di potere. Siamo ormai vicini ad un punto di non ritorno e le attuali riforme messe in cantiere dal governo Monti (nel caso dell’Italia) stanno a dimostrare proprio questo: la totale mancanza di azioni atte a regolare i flussi finanziari, la riduzione del numero dei parlamentari e la modifica costituzionale del parlamento e del senato.

In questa situazione ormai allo sfascio uno sguardo al passato è d’obbligo, sopratutto per capire e confrontare e per cercare di trovare dei paralleli che possano essere d’aiuto a risolvere l’attuale situazione.
In tempi non troppo lontani dalla nostra era emergono alcune figure di rilievo che ebbero la sfortuna di essere nate e vissute in un periodo storico tragico. Parliamo di due personaggi che ebbero l’ardire di sfidare il sistema bancario-finanziario internazionale e di risolverare le economie nazionali dell’epoca ridotto ormai al lumicino.

Il primo in ordine di tempo che merita una considerazione è Hjalmar Schacht un uomo di origini semitiche, ma che ebbe il comando della Reichsbank nazista e che fu anche Ministro delle Finanze del Reich. Un uomo che nessun sistema economico e finanziario attuale porta mai come esempio, eppure era ebreo lui come lo sono gli attuali Trichet, Bernake, Draghi. Ma la questione non riguarda la razza, ma più esattamente quello che fece questo grand’uomo per risollevare l’economia della Germania nel periodo in cui il Trattato di Versailles l’aveva resa più misera dei miseri stati europei di allora.

Hjalmar Horace Greeley Schacht nacque a Tingleff il 22 gennaio 1877 da famiglia ebrea. Studiò medicina e si laureò in economia nel 1899. Notato per la sua cultura, intelligenza e capacità lavorativa da Jokob Goldschmidt, Presidente della Dresdner Bank, vi entrò e nel 1903 ed in soli cinque anni ne divenne il capo nel 1908, a trentun anni. Nel 1905 ebbe modo di fare amicizia con J.P. Morgan. Dal 1908 al 1915 fu Amministratore della Dresdner Bank e nel 1923 fu nominato responsabile economico della Repubblica di Weimar. L’anno successivo assunse la Presidenza dell’allora Reichsbank, carica che tenne fino al 17 marzo 1930, per ritornarvi il 17 marzo 1933. Nell’agosto 1934 fu nominato Ministro dell’Economia e nel maggio 1935 Plenipotenziario generale. Mantenne la carica ministeriale con il portafoglio fino al 1937, quindi senza portafoglio. Nel 1939 fu obbligato a dimettersi dalla Presidenza della Reichsbank.

Un uomo di successo e di grande spessore ma che seppe adottare un miscuglio di strategie e soluzioni che seppero in pikchi anni (tre) a risollevare la Germania dalla catastrofe della grande depressione. Ricordo che in quel periodo l’inflazione galoppava a nove zeri, ma Schacht ebbe l’idea fulminante per riportare i conti nell’alveo del controllo di stato.

Dapprima Schacht fondò la società Metallurgische Forschungsgesellschaft m. b. H. (Mefo) con capitale sociale di un milione di marchi, ben presto azzerato da un’inflazione a nove zeri. Questa società aveva la caratteristica di non esistere: per intenderci, non aveva né sede né personale. Quindi la Mefo si mise ad emettere un gran numero di buoni Mefo, una sorta di cambiali a tre mesi, talora di durata maggiore, che la Reichsbank puntualmente rinnovava, e che potevano girare solo in Germania. Questi buoni erano denominati in una pleiade di valori: dai marchi, a valute straniere, merci, immobili, lavoro, e via quant’altro. La Banca centrale rinnovava questi Buoni secondo “equità”, ossia mantenendone il reale potere di acquisto in funzione dell’uso e dell’utente. Ovviamente, mai a nessuno venne in mente di portare i Mefo allo sconto. In buona sostanza, i Buoni Mefo raggiunsero un volume di oltre 12 mld marchi, contro un debito pubblico di 19, senza causare la minima inflazione e sfuggendo, per di più, ad ogni forma di contabilizzazione nel bilancio dello Stato, che tornò nel giro di due anni in pareggio.(1)

In Germania a quell’epoca, parliamo degli anni 20/30 la disoccupazione e la miseria erano così palpabili che era necessario trovare una soluzione che portasse dignità all’uomo e allo stesso tempo che vi fosse remunerato del lavoro richiesto. Di fondo Schacht militarizzo tutte le forze lavoro disoccupate progettando ed investendo enormi somme nelle infrastrutture interne della Germania (Strade, ponti, ferrovie, ed altre innumerevoli  opere di interesse nazionali) portando dignità, ordine e sicurezza per il futuro delle nuove generazioni. Le forze che venivano impiegate, una volta terminata l’opera costruita venivani assorbite dalle aziende che lavoravano in appoggio agli investimenti di stato evitando quindi i sussidi di disoccupazione.(1)

A differenza delle altre nazioni europee e del mondo occidentale la Germania nell’arco di pochissimi anni riusci pertanto a portare la disoccupazione a livelli bassissimi, quasi nulli e allo stesso tempo, date le restrizioni imposte dal Trattato di Versailles che impediva il commercio con la Germania (una cosa simile accade anche adesso con l’Iran, prima con la Libia e prima ancora con l’Iraq), si iniziarono scambi commerciali con altri paesi che non avevano aderito al boicottaggio anglosassone (Russia, Argentina) barattando derrate alimentari contro prodotti tedeschi. Schacht ideò un ingegnoso sistema per trasformare gli acquisti di materie prime da altri paesi in commesse per l’industria tedesca: i fornitori erano pagati in moneta che poteva essere spesa soltanto per comprare merci fatte in Germania. Il meccanismo, di stimolo al settore manifatturiero, funzionava come un baratto: le materie prime importate erano pagate con prodotti finiti dell’industria nazionale, evitando così il peso dell’intermediazione finanziaria e fuoriuscite di capitali. Il controllo nazista dei cambi e dei commerci esteri dà alla politica economica tedesca una nuova libertà. Anzitutto, perché il valore interno del marco (il suo potere d’acquisto per i lavoratori) viene svincolato dal suo prezzo esterno, quello sui mercati valutari anglo-americani.
Lo Stato tedesco può dunque creare la moneta di cui ha bisogno nel momento in cui manodopera e materie prime sono disponibili per sviluppare nuove attività economiche, anziché indebitarsi prendendo i soldi in prestito. E ciò senza essere immediatamente punito dai mercati mondiali dei cambi con una perdita del valore del marco rispetto al dollaro ed evitando che il pubblico tedesco fosse colpito da quel segnale di sfiducia mondiale consistente nella svalutazione della sua moneta nazionale.(2) (nda: la stessa cosa che aveva fatto Gheddafi e che fa l’Iran, ma che non piace alle economie occidentali).
Questo per non bastò a determinare la rinascita dell’economica tedesca. Fu infatti necessario , a seguito della presa del potere nazista, che venissero decisi piani di investimento e di riarmo tali da mettere l’intera macchina industriale tedesca a pieno regime. Negli anni 30 non c’era disoccupazione e la Germania vantava una produzione che nessun paese industriale dell’epoca poteva immaginare.

In sostanza quest’uomo ancorché ebreo e comunque inquadrato nelle file naziste, seppe portare fuori dal guado e dai pantani finanziari una nazione che altrimenti sarebbe morta in pochi anni. Nel 1943 fu internato a Dachau a causa delle leggi razziali (la deficienza umana non ha limiti) e successivamente accusato dal Tribunale di Norimberga che dopo alcuni anni lo scagionò delle infamanti accuse.

Tale personaggio seppur criticabile per le mosse messe in atto a raggiungere uno scopo, seppe agire e permettere ad una nazione di riemergere, di aumentare la propria speranza e di infondere quella fiducia che la Prima Guerra Mondiale e gli alleati avevano tremendamente compromesso impedendole di sopravvivere economicamente. I mezzi usati quindi hanno un estremo valore, mentre alla pari i fini sono sicuramente criticabili: il nazismo non seppe far tesoro della capacità di Schacht e si rovinò su se stesso sotto il peso della sua megalitica struttura e burocrazia. La guerra poi fece il resto.

Nello stesso periodo, anche in Italia vi fu un personaggio che pochi ricordano, forse per dimenticanza o forse perché scomodo nei ricordi dei vincitori che adombrerebbe le loro gesta di rapina e di crimine e del sangue versato. Si parla del Pellegrini-Giampietro della Repubblica Sociale Italiana, la famigerata RSI. A questo uomo va un merito che è giusto mettere in rilievo contro il pensiero comune dei vincitori della seconda guerra mondiale.

L’Italia nei suoi forzieri ha la quarta riserva di oro del mondo, che allo scorso giugno ammontava a ben 2.451,80 tonnellate, che al prezzo odierno dell’oro equivale a circa 100 miliardi di euro. Solo FMI e due stati, USA e Germania, hanno riserve auree superiori alla riserva italiana. L’oro è un prodotto altamente strategico destinato a rivalutarsi fortemente nel futuro immediato, per cui questa ricchezza è molto appetibile. Ma come è stato possibile che l’Italia che ha perso una guerra, che ha pagato miliardi nella ricostruzione, che ha dovuto pagare i danni di guerra ai vari stati abbia una così tale quantità d’oro? Il merito di questo sta appunto nella figura di Pellegrini che durante la Guera Civile italiana e la costituzione della RSI seppe evitare la rapina nazista, quella inglese e francese proteggendo e nascondendo quel tesoro.

IL 23 settembre del 1943, a seguito della resa incondizionata operata dai traditori Badoglio e dai Savoia (la storia non smentisce mai l’indole vigliacca di alcuni italiani), Mussolini incaricò a dirigere il Ministero delle Finanze, Scambi e Valute nel governo della nascente Repubblica Sociale il Dott. Pellegrini Giampietro, il quale condusse con saggezza ed oculatezza l’amministrazione del dicastero a lui assegnato sino alla fine della guerra.

Fu avverso a tale catastrofe politica, civile e sociale che il nuovo ministro delle Finanze della R.S.I. intervenne con fermezza, a tutela effettiva degli interessi dell’economia nazionale e delle nostre genti. Di ciò si ottiene la più chiara conferma da Filippo Anfuso che a pag. 487 e successiva dell’opera “Roma, Berlino, Salò” (ediz. 1950) precisò:C’era un piccolo napoletano, tutto pepe e nervi, Pellegrini-Giampietro, che difendeva le nostre Finanze, e correva – tra Rahn e Mussolini- come quei ragazzi stizzosi e mingherlini che durante una partita di calcio si rivelavano dei grandi atleti per il solo miracolo della volontà’.
Fu con tale tenacia che quest’uomo collaborò col ministro dell’Economia Corporativa dott. Angelo Tarchi e con il suo sottosegretario prof. Manlio Sargenti all’approvazione in data 12 febbraio 1944 al Decreto-legge sulla Socializzazione delle imprese, strumento realmente rivoluzionario per l’equilibrio dei rapporti tra imprenditori e produttori nel mondo del Lavoro, tanto che Mussolini quando ne esaminò le bozze, disse: “E’ l’idea che volevo realizzare nel 1919!”.(3)

Inoltre, questo “grande Ministro delle Finanze” della Repubblica Sociale – come lo definì con chiarezza lo stesso Mussolini – ottenne già il 25 ottobre 1943 (poche settimane dopo la sua designazione nell’incarico) il ritiro immediato dalla circolazione nell’intero territorio italiano dei ‘marchi d’occupazione’ (esattamente i Reichskreidit Kassenscheine) ed obbligando le truppe germaniche ad effettuare ogni pagamento esclusivamente con le lire italiane, imponendo contemporaneamente ad esse e ai loro Comandi di potere effettuare requisizioni indiscriminate o prelievi di fondi della nostra moneta presso gli istituti bancari. Altresì – in contropartita – fu concesso all’Ambasciata tedesca un contributo mensile di sette miliardi per tutte le spese militari, di fortificazioni, di riattazione delle vie di comunicazione ecc., facendosi confermare ciò mediante un protocollo che riaffermava la sovranità del nostro Stato nel settore monetario e di controllo assoluto sulla circolazione. Nel contempo, questo ministro impedì il trasferimento del nostro Poligrafico a Vienna, ottenendo – insieme alla nostra Ambasciata in Berlinoil trasferimento in Italia dei risparmi effettuati dai nostri lavoratori nel Terzo Reich, salvaguardando altresì le riserve d’oro e di platino italiane e ponendole al sicuro da qualsiasi rischio di possibili sottrazioni e fece restituire al nostro ministro degli Esteri buona parte dell’oro che le truppe occupanti avevano sottratto alla Banca d’Italia con l’armistizio, mentre pagò anche alla Confederazione Elvetica un debito del sorpassato governo regio.
Nel libro “Salò – Vita e morte della R.S.I.” (ediz. 1976) in cui si precisa: “Rahn vedeva arrivare Pellegrini-Giampietro come un castigo di Dio. Impallidiva quando vedeva spuntare il ‘neapolitaner’ Pellegrini-Giampietro che veniva a difendere i quattro soldi della R.S.I. in tutti i dialetti del Mezzogiorno e se il plenipotenziario tedesco estraeva i sofismi geopolitici, Pellegrini – che è anche professore – lo ammutoliva con le sue verità scientifiche”.

Nell’ambito degli uomini e delle scelte che distinsero la R.S.I., fra tutti i protagonisti della repubblica di Mussolini, quanto focalizza maggiormente l’azione di Pellegrini-Giampietro è quell’autobiografia “L’oro di Salò” pubblicata nel 1958 dal settimanale milanese “Il Candido” che fornisce la prova – quale memoriale - di quanto compì per impedire ai tedeschi di sciogliere il corpo della Guardia di Finanza per tutelarne i relativi compiti d’istituto; di come salvaguardò le riserve auree e di platino della Banca d’Italia nella sua sede a Fortezza (dove nel 1945 le trovarono gli anglo-statunitensi); per fare riacquistare ai titoli di Stato – scesi dopo l’8 settembre al di sotto del 30 per cento – il loro valore effettivo e talvolta a superarne la parità; di garantire all’esercizio finanziario 1944-1945 la compilazione regolare dei bilanci di previsione (pubblicati dalla “Gazzetta Ufficiale”) tanto che le entrate complessive furono di 380,6 miliardi, le spese di 359,6 miliardi e con un supero di 20,9 miliardi, senza fare ricorso a prestiti, nè d’emissione di buoni poliennali, mentre – nei soli primi mesi del 1945 – il gettito delle entrate fu superiore di due miliardi mensili.

Sul giornale “Il Popolo” (Anno III, n. 24 del 25-8-1945) venne precisato che il senatore statunitense Victor Wickersham in una conferenza stampa, dopo il conflitto in Europa, dichiarò che “la situazione economica dell’Italia settentrionale (quella inerente la R.S.I.) è molto migliore non solo rispetto alle altre regioni dell’Italia meridionale e centrale (cioè, le occupate-invase dagli eserciti di Usa, Gran Bretagna ecc.) ma anche in confronto delle condizioni di altri Paesi europei in precedenza visitati dalla Commissione di controllo e – in particolare – di Germania, Olanda, Norvegia, Belgio e di certe zone della Francia”.

Pellegrini-Giampietro venne processato dopo la cosiddetta “liberazione” e, sebbene fu “protagonista della difesa del tesoro nazionale e si adoperò con tutte le forze affinché il territorio dell’Italia settentrionale (dell’intera R.S.I., per l’esattezza!) non diventasse completa preda dei tedeschi – così riconobbe la Corte Suprema di Cassazione – mentre la sua opera fu ispirata ad amor patrio, non già ad asservimento al nemico, tanto più meritevole in quanto svolta fra pericoli d’ogni genere, dovette patire anch’egli le conseguenze della “guerra civile” della parte perdente emigrando e morendo esule dalla sua patria.

Quello che mi premeva evidenziare non sono tante le vicende belliche o politiche di quegli anni passati e nemmeno le ideologie che ne furono probabilmente artefici, ma gli spunti economici e finanziari di questi due personaggi che tra mille peripezie e in una clima storico di terrore, seppero fare qualificare e sopratutto migliorare la nazione in cui agivano. Come detto altre volte spesso si confondono i mezzi con il fine, ma in questo caso è necessario fare chiarezza e non confondersi per non cadere nella trappola mediatica che quotidianamente viene usata quando si portano esempi del genere.
I sistemi usati da Schacht per far risorgere la Germania dall’abisso e dalla miseria, gli permisero di portare quella nazione a primeggiare in tutti i campi e ad avere una disoccupazione quasi assente; Pellegrini-Giampietro, per contro in una condizione peggiore di Schacht, seppe rendere all’Italia e mantenere senza gravare nella spesa pubblica e senza indebitare la RSI il tesoro che oggi possiamo vantare di avere.


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