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Ci sono tante Puglie: La storia in ogni dove

Creato il 11 giugno 2012 da Cultura Salentina
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Pasquale Urso: Brindisi, palazzo del Seminario (litografia)

Brindisi

La Puglia, si diceva, è il mare, quello stesso mare che avevano solcato quattromila anni fa i Fenici, il mare dell’Odisseo omerico dalla fluttuante incertezza, o dell’Ulisse dantesco, della conoscenza e dell’esperienza, ma anche il mare della sofferenza e della paura, delle aggressioni saracene, il mare delle onde che bruciano, il mare cattivo delle libecciate, dove, in ogni tempo, “li poviri piscaturi/ chini te miseria, te fame e duluri vanno ciarcandu lu pane e lu sole te la ‘nvarnata”, come ricorda Aldino De Vittorio. La Puglia è una regione dalle molte facce, una regione di frontiera che si è trovata a far fronte all’est, che ha avuto i suoi problemi gravi, con le calate e gli assalti dei mori e dei turchi che tutto squassano arraffano stuprano uccidono, lunghi secoli di scontri/incontri e di paura, che hanno costretto i pugliesi – dice Fofi – a diventare levantini e amorali, a farsi, insomma diffidenti e “paraculi”, quando occorre. Macchè – ribatte l’ammiraglio Fadda –, niente vero. Quello pugliese è un popolo multiforme, terribilmente intelligente, ma non ama affatto il mare, anzi lo teme, non solo per le aggressioni che ha dovuto subire nei secoli passati. Il fatto è che il mare da lontano è fermo, piatto, poetico; ma se vai nella pancia è tutto diverso, pauroso, cattivo, spietato nemico, quando ci sei dentro in quel ventre azzurro il mare ti mostra tutta la sua ferocia … Ad esempio, prendi Brindisi, testa di cervo, il porto degli imperatori romani, da Vespasiano a Marc’Aurelio, il porto cruciale per le partenze dei crociati fin dal medio evo, il porto che dà lavoro a un mucchio di gente. Ebbene, paradossalmente, a Brindisi non ci sono marinai, né pescatori. Ma io dico che in genere noi italiani, a dispetto della storia e geografia, non abbiamo grandi tradizioni marinaresche, anzi credo che ancora oggi metà popolazione non sappia nuotare, anche se tutti si fanno la barca. Ma i pugliesi hanno una cultura di fondo contadina, la cultura della vite e dell’ulivo, una cultura trasmessa per sangue. Se tu parli con un contadino qualsiasi senti che le sue riflessioni sono profonde.

La storia sta in ogni dove

Io dico – sostiene Luigi Malerba – che troppi, troppi popoli hanno attraversato la Puglia e ognuno ha lasciato una traccia, una ferita, un cratere, a partire dai lontanissimi costruttori di dolmen e menhir, e i frequentatori dell’età dei metalli, tra fossili calcari e coralli, pietre levigate e vetri vulcanici. Ceramiche incise, con conchiglie, stecche, canne e denti di lupo. I primi abitatori di questa terra avevamo losanghe e fasce a linee parallele, lisciatoi e punteruoli d’osso accette votive e scalpelli di ofiolite. Erano portatori d’ascia con ferite di silenzionel chiuso morso del cuore. Avevano un’esplosione di grida dentro e tanti semi ancora fulgidi di inconsce speranze da gettare sul mare. Qui c’è un tale ingombro di storie, e di architetture, e di vicende da far mettere le mani nei capelli.

E’ vero. Ci sono tante Puglie, tanti posti diversi da vedere, posti che fanno a botte l’uno con l’altro, come i pugliesi che appartengono ad etnie diverse, – i Dauni nella Capitanata, i Peuceti nella Terra di Bari e i Messapi nel Salento, senza contare gli spartani di Taranto, – e non sono sempre amici fra di loro, parlano dialetti diversi, ma stanno insieme, uniti da una continuità storica che sta nell’aria, una storia che si incontra ad ogni passo, una storia povera e fastosa, miserabile e luminosa, fatta di muretti a secco e di cattedrali, di menhir, alberi di pietra votivi, e di umili sassi, di pianure sterminate e di mare vetro bianco fuso contro il bianco delle città; la storia sta in ogni dove, in ogni luogo, e questa è una grazia rara. C’è il senso del sogno, della grandiosità e dell’infinito.

Terra felice

Dal Gargano aspro e misterioso di fede, alle affannate colline del Sub appennino, al Tavoliere gonfio di frumento, alle mirabili rete di cattedrali e castelli, alla Murgia ossessionata di pietra, al giardino della Valle d’Itria, alla carnosa sensualità del Salento dove spira già aria d’Oriente, tutto è Puglia con la frattura tra linguaggio e idealità, tra volere e potere, tra aspirazione e fine. Ecco che si apre uno scenario di una ricchezza e di una varietà inimmaginabile, una mareggiata di verde davanti ad un’azzurrata di mare. Usi, costumi, tradizioni, dialetti diversi, l’abbiamo detto, eppure siamo nella stessa regione, ed è questa una continua scoperta, uno stupore, fino alla fine del percorso. Qui venne Idomeneo, venne Enea, venne Diomede, e vide quella luce straordinaria, la luce che forma le forme, la luce che taglia gli angoli del romanico e disegna la geometria delle città, la luce che abbaglia i paesi imbiancati di calce, la luce che accende i colori di una primavera senza fine. L’eroe chiese agli dei, Con quale nome dunque chiamerò questa terra di luce ?. E gli dei risposero, Chiamala terra felice, perchè questa luce è aperta agli altri, è una luce di incontri; non ci sono linee d’ombra, nè introversioni con una luce così, perchè qui c’è ariosità, pulizia, ci sono case del sole e degli dei…Ma forse in questa terra così schiacciata da un cielo senza pietà, da un’immensità che lascia storditi, in questa terra così orizzontale a perdita d’occhio, dove svettano le anime verticali dei campanili e delle cattedrali e dei paesi raccolti intorno ad esse, aleggiano troppe passioni, troppe morbosità, troppe linee di follìa, troppe discordie, troppe divisioni, troppe distruzioni, troppe avidità affinchè vi giunga realmente la felicità….Del resto, lo sappiamo, la felicità vera è pura utopia, una scia di musica, uno strascico che lasciano i pianeti e le stelle nel loro eterno movimento

Roma, 21 maggio 2012


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