Ho appena visto su Repubblica.it che Giorgio Faletti è morto.
La cosa non mi piace.
Giorgio Faletti per me non è solo Drive In, Vito Catozzo o libri best-seller.
Giorgio per me è un ricordo, una bellissima pagina del mio personale raccoglitore di storie.
In questa pagina sono attaccate tante polaroid: immagini di una giovane Scribacchina attaccata al telefono, intenta ad intervistare quello che allora veniva etichettato come «il comico prestato alla canzone».
C’è l’emozione di sentire la sua voce bella dall’altro capo della cornetta.
Ci sono tutte le parole che ci siamo detti, i pensieri che abbiamo condiviso in quell’infinita mezz’ora.
C’è l’incredulità di sentirmi invitare al suo spettacolo, allo Zelig – io, che non ero (e non sono) nessuno.
C’è anche l’adrenalina del viaggio con mia sorella per andare allo spettacolo, in quella serata milanese di tanti anni fa. Anche in quell’occasione c’era una macchina che non ne voleva sapere di andare, proprio come oggi: ma all’epoca la macchina non era la mia. Ero talmente giovane che la patente era ancora un immacolato pezzo di carta rosa.
La bella pagina si chiude con un’ultima fotografia: quella di Giorgio che mi stringe la mano, mi bacia e mi abbraccia, alla fine dello spettacolo. Aveva un grande sorriso e la stessa, bellissima voce che avevo ascoltato al telefono e in televisione.
Si ricordava il mio nome.
Non è una cosa così scontata.
Nell’articolo che parla della sua morte ho trovato questa frase, sembra l’abbia scritta sul suo profilo Facebook proprio ieri:
«A volte immaginare la verità è molto peggio che sapere una brutta verità. La certezza può essere dolore. L’incertezza è pura agonia».
Da qualche settimana non leggo nulla, eccetto i giornali.
In questo momento mi è venuta voglia di leggere qualcosa di suo.
A voi lascio la lettura di due cose che avevo scritto tanto tempo fa.
Dateci un’occhiata, se vi va.
E’ il mio modo per ricordare.
Ricordare lui e ricordare me.