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Questa mattina ho ricevuto la triste notizia che aspettavo da giorni, e ad essere cinici, ragionando in termini puramente giornalistici, era il classico esempio in cui, svolgendo la professione, sarebbe stata buona cosa avere il “coccodrillo” nel cassetto. Ma l’affetto che mi legava al mio concittadino Joe Vescovi, sentimento che vorrei emergesse, non ha niente a che vedere con la voglia di condivisione delle informazioni musicali. Lo conoscevo da sempre, ma solo negli ultimi anni avevamo stretto un solido rapporto che era nato e si era sviluppato in modo totalmente spontaneo. Nell’ultimo anno avevo perso il contatto diretto, ma Pino Tuccimei, amico comune che ringrazio infinitamente, mi aveva tenuto al corrente costantemente, con la discrezione del caso. Ora mi piace immaginare che a qualcuno verrà la voglia di organizzare in grande “Festa per Joe”, magari trovando il modo di aiutare una famiglia che, immagino, sarà disorientata. A seguire poche righe che mi sono state richieste dal Secolo XIX, con la necessità di fare opera di sintesi e quindi sono speranzoso che verranno lette, come sincera testimonianza di un amico.
Joe Vescovi ci ha lasciato. Era nell’aria, chi gli era vicino, col cuore e con la mente, sapeva che il momento era quasi arrivato. Eravamo amici, non nel senso più banale della parola, spesso utilizzata per indicare una frequentazione episodica associata al “tu”, ma qualcosa di più solido. Era un mito, in Italia e all’estero, e per gli adolescenti come me, ad inizio anni ’70, aveva rappresentato qualcosa di inavvicinabile. La sua proposta innovativa, la sua tecnica tastieristica, la sua fantasia e la capacità di creare perle musicali di rara bellezza lo avevano ormai consacrato come icona musicale senza tempo. Era di Savona, e proprio nel centro città lo incontrai per la prima volta, io adolescente e lui un po’ più grandicello: mi pare fosse il ’73. Capelli biondi, lisci, lunghissimi; barba curata e occhi di un azzurro intenso, passeggiava in via Pia con una coda di discepoli, e lui, tunica bianca e lunga, sembrava camminasse sulle acque. Così poteva apparire allora al cospetto di un giovincello come me, imbevuto di musica sino al midollo. A distanza di quarant’anni l’ho ritrovato, e a quel punto il gap generazionale aveva ormai perso ogni significato, e così abbiamo passato assieme lunghi e significativi momenti, attimi in cui ha utilizzato la sua vividissima memoria per raccontarmi alcuni dettagli inediti della sua vita, come il momento esatto in cui conobbe e si innamorò di Mia Martini, al Piper di Viareggio. Non solo dettagli musicali quindi, ma anche la voglia di lasciarsi andare al racconto intimo, come si conviene tra persone che si stimano e rispettano i rispettivi ruoli. Abitava nelle Marche ma ci eravamo incontrati a Roma, nel 2010, e negli ultimi periodi era riuscito a riproporre i ricostruiti TRIP ad Alassio, per il quarantennale, e nel 2013 ad Albenga, alla Fiera Internazionale della Musica, raccogliendo attorno a sé gli amici di sempre. Da almeno un anno il suo stato di salute si era aggravato, ma nulla traspariva, se non un certo suo ottimismo, ingiustificato per chi era a conoscenza della gravità della situazione. Nel Giugno scorso, a Cisano sul Neva, luogo in cui la band crebbe, si è organizzata una grande festa nel ricordo dei TRIP, e in quell’occasione è venuto purtroppo spontaneo e facile fare la conta dei musicisti, suoi compagni di viaggio, ormai diretti verso altri lidi: Billy Gray e Wegg Andersen. Ora anche Joe li ha raggiunti e sono certo che, già da stasera, quei tre pazzi scatenati suoneranno assieme, riproponendo “Caronte” dal vivo, magari in una nuova versione unplugged. Ciao Joe, sono contento di averti conosciuto.
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