Se pioggia e vento non avessero indurito questa edizione della Milano-Sanremo, il gruppo di una ventina di atleti che componevano la volata conclusiva di quanto poteva essere più folto? Almeno il doppio, tenendo conto che la temperatura bassa (mai sopra i 10°), la spazzolata di grandine sul Turchino, il vento freddo del mare ligure hanno sfoltito certamente il numero di gambe pedalanti nel finale. Il fatto è che ormai il Poggio non è più trampolino di gloria. A meno che un atleta non scatti nel momento esatto in cui tutti guardano una bella ragazza che piglia il sole in un giardino vicino, siamo davanti ad un’erta che viene percorsa a velocità che rendono impossibile quasi ogni azione. Le fughe della Sanremo non danno più troppo pensiero, e da molti anni i distacchi vengono limati dal gruppo senza troppo panico, anche se toccano la decina di minuti. L’azione di Vincenzo Nibali – iniziata sulla Cipressa, approfittando di un’accelerazione della Cannondale di Sagan – è stata bella e volitiva, ma intraprenderla senza nessun aiuto era un mezzo suicidio. Eppure era l’unico tratto possibile per cercare di fare il famoso ‘buco’ e cercare di formare un gruppetto di pazzi che almeno ci provavano. Poi, nel tratto di piano che lungo l’Aurelia porta verso il poggio, il gruppo ha dovuto solo premere sull’acceleratore demolendo in 5 chilometri tutto il vantaggio del siciliano, che a fine discesa della Cipressa girava intorno ai 45”. Ma era l’unico punto che poteva rompere il plotone, perché il Poggio – anche in una Sanremo più autunnale che primaverile (e lasciamo perdere l’anno scorso) – non fa più paura. Fa più paura (e anche un po’ schifo) il certamente calcolato ritorno di Cipollini, benedetto mediaticamente dalla congrega ciclistico/sacerdotale di Suor Alessandra. Ma di questo modo di riproporre e difendere il ciclismo degli amici degli amici, si scriverà nell’editoriale.
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Se pioggia e vento non avessero indurito questa edizione della Milano-Sanremo, il gruppo di una ventina di atleti che componevano la volata conclusiva di quanto poteva essere più folto? Almeno il doppio, tenendo conto che la temperatura bassa (mai sopra i 10°), la spazzolata di grandine sul Turchino, il vento freddo del mare ligure hanno sfoltito certamente il numero di gambe pedalanti nel finale. Il fatto è che ormai il Poggio non è più trampolino di gloria. A meno che un atleta non scatti nel momento esatto in cui tutti guardano una bella ragazza che piglia il sole in un giardino vicino, siamo davanti ad un’erta che viene percorsa a velocità che rendono impossibile quasi ogni azione. Le fughe della Sanremo non danno più troppo pensiero, e da molti anni i distacchi vengono limati dal gruppo senza troppo panico, anche se toccano la decina di minuti. L’azione di Vincenzo Nibali – iniziata sulla Cipressa, approfittando di un’accelerazione della Cannondale di Sagan – è stata bella e volitiva, ma intraprenderla senza nessun aiuto era un mezzo suicidio. Eppure era l’unico tratto possibile per cercare di fare il famoso ‘buco’ e cercare di formare un gruppetto di pazzi che almeno ci provavano. Poi, nel tratto di piano che lungo l’Aurelia porta verso il poggio, il gruppo ha dovuto solo premere sull’acceleratore demolendo in 5 chilometri tutto il vantaggio del siciliano, che a fine discesa della Cipressa girava intorno ai 45”. Ma era l’unico punto che poteva rompere il plotone, perché il Poggio – anche in una Sanremo più autunnale che primaverile (e lasciamo perdere l’anno scorso) – non fa più paura. Fa più paura (e anche un po’ schifo) il certamente calcolato ritorno di Cipollini, benedetto mediaticamente dalla congrega ciclistico/sacerdotale di Suor Alessandra. Ma di questo modo di riproporre e difendere il ciclismo degli amici degli amici, si scriverà nell’editoriale.
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