Una parola, una città, una storia
Tutti i giorni ci imbattiamo, attraverso la lettura di qualche periodico o la visione di alcune trasmissioni televisive, in imbonitori e imbroglioni di ogni specie, da chi ci promette vincite favolose in denaro a chi ci assicura dimagrimenti senza fatiche o, peggio, guarigioni rapide da mali incurabili.
Tutti i giorni si compiono centinaia di reati di circonvenzione d'incapace, truffa, estorsione, esercizio abusivo della professione medica, abuso della credulità popolare e pubblicità ingannevole. Secondo il Rapporto Italia 2010 dell' Eurispes si stima in 155.000 il numero dei soli sedicenti maghi, astrologi e cartomanti, con un fatturato che si aggira sui sei miliardi di euro annui. E in tempi di crisi l'unico settore che sembra avvantaggiarsi è proprio quello dei ciarlatani.
Per non lasciarci prendere dallo sconforto, sballottati come siamo tra un sentimento di pena nei confronti di chi in difficoltà, anche molto gravi, cade preda di questi mascalzoni e un moto di rabbia per quanti continuano a considerare queste pratiche "innocui passatempi", conviene convogliare la nostra attenzione sulla parola ciarlatano e sulla sua etimologia che presenta aspetti interessanti.
È il fiorentino Vespasiano da Bisticci, umanista e libraio del Quattrocento, noto soprattutto per aver contribuito alla creazione della Biblioteca Laurenziana voluta da Cosimo de' Medici e aver formato quella di Federico da Montefeltro, ad attestare l'uso del termine ciarlatano già nell'Italia del XV secolo. Parola che deriva probabilmente dall'incrocio lessicale tra i termini ciarla, quindi chiacchiera, pettegolezzo, e cerretano, cioè abitante della città castello Cerreto di Spoleto, nell'umbra Valnerina.
Infatti, a seguito della terribile "peste nera" che colpì l'Europa intorno alla metà del XIV secolo e che sterminò un terzo della sua popolazione, gli abitanti di Cerreto furono autorizzati a chiedere l'elemosina per poter ricostruire e riattrezzare gli ospedali andati in rovina. Negli Statuti di Cerreto del 1380 si fa esplicita menzione di concessioni chiamate baye o baglie che consentivano a coloro che le ottenevano, detti perciò bayuli o baglivi, di raccogliere le risorse da destinare, in particolare, al sistema di assistenza dell'Ordine del Beato Antonio.
Come in tutti i periodi di crisi, da quelli antichi causati da pestilenze, carestie o guerre, a quelli moderni frutto delle speculazioni finanziarie globali, i poveri si fanno sempre più poveri, crescendo di numero, mentre i ricchi vedono aumentare il proprio patrimonio. Così nella seconda metà del Trecento i questuanti autorizzati potevano contare, oltre che su piccoli oboli dati da persone comuni, anche su consistenti elargizioni di abbienti, soprattutto se di recente formazione. Ai nuovi ricchi, la cui fortuna non di rado aveva delle origini oscure, i cerretani fornivano la possibilità di sedare la propria coscienza, facendo leva su una nuova etica della misericordia. Si ponevano come mediatori tra i ricchi e i poveri, tra chi approfittava dell'opportunità di perdono dei propri peccati attraverso la beneficenza e chi affollava gli ospedali senza avere nessuna possibilità di pagarsi le cure o anche semplicemente per trovare un po' di cibo: gli hospitalia medievali, infatti, aprivano le loro porte senza fare molta differenza tra emergenza sanitaria e indigenza economica.
Quest'attività meritoria lasciò il passo, ben presto, a truffe e raggiri. I cerretani arrivarono a intascare parte del ricavato o, addirittura, a chiedere l'elemosina fingendosi affetti da gravissime malattie. E non solo questo. Millantando competenze mediche dispensarono, in lungo e in largo per la penisola (e anche oltre i suoi confini), petulanti consigli sulla salute e diagnosi di malattie. Nelle pubbliche piazze praticarono estrazioni di denti e svilupparono l'abilità di fingersi speziali, vendendo rimedi e unguenti decantati come miracolosi e buoni per ogni malanno. Una vera e propria professione dell'inganno e dello sfruttamento a fini di lucro dell'ingenuità delle persone e della loro buona fede.
Queste deviazioni dall'originale attività di questuanti raggiunsero una consistenza notevole nel corso del Quattrocento. Ne ritroviamo una testimonianza nel Novellino, un'opera dello scrittore satirico Tommaso Guardati, detto Masuccio Salernitano, che nel secolo successivo subì la censura ecclesiastica finendo dell'Indice dei libri proibiti. Con i toni sarcastici propri di questo innovatore della novellistica del XV secolo, Masuccio Salernitano così descrive i cerretani:
Come a ciascuno può esser noto, gli spoletini e cerretani come fratocci de santo Antonio vanno de continuo attorno per Italia, cercando e radunando gli voti e promesse al loro santo Antonio frate; e sotto tal colore vanno predicando e fingono far miracoli, e con ogn'altra maniera de cauti inganni che posseno adoperare, se impieno molto bene de denarie d'altre robe e retornanosi a poltronizzare a casa.
E Teseo Pini, vicario episcopale urbinate, tra il 1484 e il 1486 si lancia addirittura in considerazioni antropologiche in merito alla natura dei cerretani, nel manoscritto De cerretanorum origine eorumque fallaciis: "Per dedicarsi alla questua bisogna essere uomo furbo, astuto, con un volto indurito [come il cuoio di] un cinghiale vecchio, ben fermo nel non arrossire. Poiché se un uomo dedito a tali arti arrossisce è inutile quanto un filosofante irascibile".
La degenerazione fu così diffusa e consistente che spinse il papa Innocenzo VIII, che solo pochi anni prima aveva emanato la bolla Summis desiderantes in cui si dava, ad alcuni inquisitori, la facoltà di agire verso chiunque fosse sospetto di stregoneria, a raccomandare un intervento del vescovo di Spoleto. Nel 1487, per tentare di arginare il fenomeno, fu inviato in Umbria Bernardino da Feltre, celebre predicatore dotato di oratoria non comune che, come è scritto negli Acta sanctorum, "per proseguire il mandato del Papa, ritornò a Spoleto e di là espulse i Ceretani, schiatta pessima e fraudolenta di uomini".
A questa rimozione fisica seguiranno tentativi ideologici di rimozione di altro tipo, retrodatando la loro origine in un contesto pagano, immaginandoli sacerdoti pre-cristiani della dea Cerere (da cui il nome). Il luogo di nascita, poi, divenne orientale, trovando anche in questo caso indizi etimologici per il loro nome, facendo derivare cerretano dal bizantino keratàs, che significa mascalzone. E anche una certa tentazione nazionalistica di collocare il fardello dell'origine di tali nefandezze al di fuori dell'Italia produsse i suoi frutti, ispirando le parole del geografo Leandro Alberti che in proposito scrisse: "Dicono alcuni [che] fossero li Fabricatori di questo castello [di Cerreto] alcuni Francesi scacciati di Francia, che andarono al Papa a chiedergli un luogo per habitare, et che lui li concedesse questo, dandogli molti privilegi acciocché potessero ritrovarse limosine [...]".
Durante tutto il Rinascimento e nel primo Seicento la figura del cerretano perse qualunque ambiguità tra il giusto questuante e il guaritore imbroglione. Non ha più contorni sfumati la descrizione che ne dà Machiavelli nell' Asino o ne La Mandragola, dove fa usare al protagonista, Callimaco, il termine cerretano per indicare, appunto, un falso medico, né quella del trattatista Cipriano Piccolpasso che nel 1565 scrive:
Esercitano questi uomini d'andar per il mondo vendendo il Zafferame et pepe et altre spetiarie, coralli como anco una certa sorte d'herba che chiamano corallina, qual ridotta in polvere vendono per dar ai putti per scacciar i vermi [...]. Non si dilettano, pare a me, né d'armi né di lettere, sì ben d'andar per birri, questo par sia lor particolare professione [...] quel costume che hanno di andare a torno accattando o cialtronando.
Nelle opere degli umanisti cinquecenteschi il termine cerretano arrivò ad assumere anche un significato metaforico di persona senza scrupoli pronto a qualunque inganno pur di soddisfare i propri desideri. In proposito Alberti, nella Descrittione di tutta Italia, scrive di
[...] Ceretani, quali discorrono per tutta Italia simulando santità con diversi modi, et sotto diversi colori per trarne denari. E per tanto da loro è stato tratto il vocabolo , che quando uno importunamente et sanza vergogna qualch'uno chiede alcuna cosa, ovvero colora le sue parole con nuovi modi e fittioni acciò la ottenga, dicesi essere buon Cerretano.
Ma i cerretani non si ponevano solo come concorrenti di medici e speziali. Ne Il vagabondo ovvero sferza dé i vagabondi di Giacinto De Nobili, opera pubblicata a Venezia nel 1627 con lo pseudonimo Raffaele Frianoro, il frate domenicano tradusse e in parte modificò uno scritto inedito del Quattrocento, rinvenuto durante le sue ricerche di archivio. Si trattava dello Speculum Cerretanorum di Teseo Pini, dove l'industria della questua e l'attività di medico da piazza degli abitanti di Cerreto viene descritta con dovizia di particolari. Il libro, che conobbe una rapida fortuna, non trattava solo di sedicenti medici. Nella lista di 34 tipi di cerretani individua come i primi e i peggiori i
bianti [o beanti] così detti da beare, promettendosi tra di loro la beatitudine in questo mondo con questo infame modo di cercare il vitto e arricchirsi. Questi falsificano e portano seco bolle de' Pontefici, , o de' prelati, o di luoghi pii [...], promettendo non solo dal Purgatorio, ma anco dall'Inferno a dispetto del demonio poter levare le anime dannate e assolver di colpa e di pena ogni gran peccatore.
Quindi non solo promesse di conservare o ridonare la salute corporale ma anche assicurazioni per quella spirituale.
Al coro unanime di condanna si opposero pochissime voci controcorrente. Tra queste il "flagello dei principi" Pietro Aretino, così chiamato per la ferocia delle sue satire. In una delle sue Lettere loda esplicitamente il cerretanismo. Nella lettera, indirizzata a Jacopo Coppa, celebre cerretano detto "il Modanese" e ammiratore dichiarato dell'Aretino, si legge:
Conciosia che mi reputo di più gloria l'esser biscantato da uno dei primi ceretani del mondo che non mi reputerei di biasimo mille istorie che di me facessero cento più mediocri dottrinali dell'universo.
E con Aretino possiamo annoverare anche un giovane Ludovico Ariosto che compose per Maestro Antonio Faentino, un cerretano benvisto alla corte del duca Alfonso I d'Este, l' Erbolato, un componimento da declamare in piazza per vendere un preparato utile a mantenere in buona salute fino alla vecchiaia avanzata.
Ai nostri tempi, nel mese di agosto, a Cerreto di Spoleto si organizza la Sagra del Ciarlatano, una festa dove, oltre a gustare i piatti tipici della gastronomia umbra, si ha l'occasione di conoscere la storia e il folklore del luogo attraverso spettacoli teatrali e mostre tematiche. Una bella iniziativa che potrebbe ispirare i nostri legislatori, incapaci di stimolare in Italia la diffusione di una cultura scientifica che spunterebbe le armi ai ciarlatani contemporanei, suggerendo loro di rinunciare definitivamente al finanziamento di qualunque attività di tipo scientifico e di istituire una manifestazione che celebri esplicitamente le tante professionalità diffuse sul territorio di astrologi, maghi e guaritori di vario tipo: la Festa Nazionale del Ciarlatano.