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Cicogna. Una gerla, un fazzoletto e uno scialle.

Creato il 12 febbraio 2015 da Il Viaggiatore Ignorante

Mai la natura assume un aspetto tanto sinistro come là dove essa è perfettamente pura e intatta 

Thomas Bernhard Cicogna. Una gerla, un fazzoletto e uno scialle.

...era di notte che le donne si recavano al cimitero...Luogo che all'epoca dei fatti disponeva di una botola comunicante con il sottosuolo dove venivano gettate le ossa dei defunti e leggenda vuole (ma tanto leggenda poi non è...) che un povero becchino calatosi alla ricerca di una cassettina contenente le spoglie di un uomo si ferì ad un piede nel tentativo di camminare su quei tenebrosi resti.
I giorni passavano e nonostante le cure la ferita stranamente peggiorava, pochi mesi dopo lo scellerato destino lo condannò all'amputazione di entrambi gli arti inferiori. ...dicevamo...ombre nere si aggiravano in quel lugubre campo intente nella raccolta di vermi che venivano poi aggruppati ad una bella fetta di terra antistante le tombe.Rientrate a casa in gran segreto versavano il composto in acqua, portavano ad ebollizione e porgevano da bere l'intruglio al povero indisposto.Talvolta veniva lessato anche sterco di gallina, mentre per l'appendicite dopo aver sfregato il fondo della pipa si diluiva l'estratto ottenuto sempre con dell'acqua. Il povero cristiano malconcio e speranzoso di guarigione trangugiava voracemente la pozione in attesa di riacquisire la salute perduta; inutile aggiungere che qualcuno finì per rimetterci la pelle...Questa succinta introduzione riporta alla luce alcune usanze praticate negli anni a cavallo tra l'800 e il 900 quando la miseria e l'isolamento costringeva la gente ad ingegnarsi ed arrabattarsi come poteva nella speranza di porre rimedio ai malanni che li attanagliavano.Scigogna sorge a poco più di 700 metri di altitudine immersa nei boschi incontaminati del cuore della Val Grande (provincia del Verbano-Cusio-Ossola). Ora conta una manciata di abitanti ma in quegli anni più di 150 famiglie animavano il paese, c'erano 7 osterie, negozi ed anche la scuola.Distanti da tutto, rinchiusi in quel primitivo guscio di pietre e di neve, laggiù stretti tra quelle solitarie montagne dal suolo magro ed irriconoscente, dove sparuti alberi di mele, nespole e prugne faticavano a dare i loro rugosi frutti, le giornate per i giovani spesso erano velate di monotonia.Ma proprio d'inverno, quando la nebbia con la su coltre lattiginosa sembrava impigliarsi fra i tetti e la croce del campanile, giungeva a “donare” un po di colore il venditore di “bignole”il cosiddetto “ufullatt”.Sul sagrato disponeva con meticolosità le sue creazioni e ciò era sufficiente per farle divorare con gli occhi ai ragazzi appena usciti da messa...sì perché di affari veri se ne facevano ben pochi.Ma l'”ufullatt”con costanza si ostinava a risalire la Valle del San Bernardino per monetizzare spesso solo delle lumache dal “coperchio bianco”che i ragazzini il più delle volte gli rifilavano in cambio di qualche dolciume.Le scovavano nascoste tra le ortiche o annidate nelle fessure dei muri attorno ai campi dove durante i mesi invernali trascorrevano il letargo anelando un po di tepore.Cicogna, oggi raggiungibile attraverso una stretta ma abbastanza agevole strada asfaltata (opera realizzata grazie al Generale Cadorna), viene definita la porta della Val Grande in quanto dal suo “centro” si snodano numerosi sentieri che conducono l'escursionista moderno nel cuore della wilderness.
Cicogna. Una gerla, un fazzoletto e uno scialle.
Tempo fa la situazione era decisamente diversa, l'unico modo per raggiungere il villaggio era attraverso un minuscolo sentiero (ancora oggi percorribile anche se in totale abbandono) che si inerpica sul lato sinistro del torrente San Bernardino e oltrepassato “Ponte Casletto” mostra il suo lato più disagevole e faticoso estendendosi ripido sul costone, tanto che le donne cariche nei loro gerli erano costrette a numerose soste prima di poter giungere alla loro meta e poter tirare finalmente un sospiro di sollievo.Credenze, leggende e superstizioni in un mondo così isolato e poco istruito trovavano terreno fertile tra gli abitanti. Molto devoti a San Giulio (protettore e difensore contro le serpi) avevano eretto una statua in suo onore all'interno della chiesa, realizzata interamente di rame e posta all'interno della cappella a lui dedicata.Ma dietro ciò si nasconde un fatto abbastanza singolare che andrò ad illustrare.Nei primi anni dell800 Don Giobatta Benzi (personaggio dal dubbioso zelo apostolico, grande appassionato di caccia e pesca piuttosto che di santi) dopo aver eseguito i suoi impegni religiosi si recò a tutta birra in direzione di Ponte Casletto, e poi giù per rocce e oscuri dirupi fino a raggiungere il greto del fiume; lì estrasse la sua brava canna da pesca e restò in attesa del cospicuo bottino da consumare in serata.Terminata la sfacchinata a gambe in spalla si aggrappò di nuovo alle umide sporgenze fatte di erba e sassi cercando di raggiungere il pianoro oltre lo sperone che avrebbe dovuto riportarlo a casa.Giunto in cima una demoniaca visione si dipanò davanti ai suoi occhi! Un serpente dalle dimensioni inaudite lo attendeva minaccioso all'imbocco del sentiero impedendogli di proseguire oltre.Tentare un dietro front l'avrebbe certamente consegnato a morte certa finendo annegato tra le gelide acque, mentre sfidare l'infingardo rettile significava finire dritto nelle sue fauci.In quel momento il sudore gli rigava la fronte ed inzuppava gli indumenti ma un impeto di fede si faceva strada in lui, tanto che lo spinse ad urlare codeste parole:San Giulio salvami la vita! Farò erigere in tuo onore una splendida statua”Chiuse gli occhi, strinse i denti e...puff! Detto, fatto. Il biscione dalle inusitate proporzioni svanì in una nuvola di polvere e Don Giobatta Benzi con il cuore in gola ancora galoppante a ritmi forsennati poté finalmente far ritorno a casa.Poco tempo dopo stessa sorte toccò ad un altro pescatore; l'infame bestia questa volta apparve nei dintorni di Pogallo, l'orrenda visione spaventò a tal punto l'uomo da causargli spiacevoli sintomi. Difficoltà motorie e della parola, balbettii, incomprensibili tremori e strani irrigidimenti lo accompagnavano durante le ore del giorno e della notte rendendogli l'esistenza un inferno.Cicogna. Una gerla, un fazzoletto e uno scialle.La triste faccenda spinse lui e la moglie a trasferirsi a Vignone in cerca di maggior serenità, ma molto poco valsero i loro sforzi, altri eventi inquietanti erano pronti a manifestarsi a breve. Una sera prima di cena la moglie scese in cantina per recuperare una bottiglia di vino, il marito non vedendola ritornare si insospettì. Sceso nel locale sottostante fece la macabra scoperta. La consorte giaceva esanime in una pozza di sangue sotto la grossa damigiana.Oltre agli acciacchi sempre più insistenti ora come compagna aveva una buona dose di solitudine, fedele complice che lo accompagnò fino ai suoi ultimi anni consumati in ospizio.Questi misteriosi accadimenti illustrano ciò che si cela (in parte) dietro alla profonda devozione dei cicognesi verso San Giulio e la sua statua conservata da sempre con sacrale rispetto.Un povero paese inchiodato a scoscesi declivi dove un impervio sentiero di camosci era l'unico cordone ombelicale con il mondo “reale”, e la notte rischiarata solo dalle flebili luci dei “lenternitt”. Popolato da persone che hanno saputo affrontare le molteplici avversità e delusioni quotidiane sempre a testa alta imparando con abile destrezza ed ingegno parecchi mestieri. Decine erano gli scalpellini, i fabbri, gli apicoltori, i muratori, i falegnami, i carpentieri ed anche qualche pittore di una certa caratura, brulicanti in quel piccolo mondo.Agli angoli delle case era consuetudine imbattersi nell'arte della costruzione dei gerli; di dimensioni più piccole (sciavùn) o più grandi (sciüvére) a seconda degli utilizzi. Il primo destinato prevalentemente al carico del fieno il secondo per viaggi più lunghi consentiva pesi maggiori. Altri si dedicavano alla riparazione dei muretti di sostegno ai campi (noti con il nome di kempéi), edei “crévècc dove legare le capre, tutti lavori manuali e di schiena e braccia.Vigoroso era il senso di solidarietà ed aiuto reciproco, anche nelle situazioni più difficili come il parto, dove la parola “medico” era un tabù. L'aiuto si traduceva nella presenza della levatrice, ma quando l'evento avveniva lassù tra quella costellazione di alpeggi si ripresentava l'arte di arrangiarsi con le proprie mani arricchita da una buona dose di coraggio; fu così che una dolorosa vicenda avvenne proprio in questi delicati frangenti.Una donna che caricava Dinàch, alpeggio sopra Cicogna, avvertì le doglie proprio mentre sola era intenta ad accudire il bestiame. Corse a letto e nel buio della cascina, affidandosi alla provvidenza, dietro ad immani sforzi diede alla luce ben due gemelle, fatto quasi miracoloso considerate le proibitive condizioni in cui il parto avvenne!Ma il destino di una di esse era già segnato, delineato in una sorte dalle tetre sembianze. Nata in circostanze disperate, tra le pietre e le foglie di quel freddo cascinale, trascorse una breve vita di miseria. Trucidata a Velina dal nemicoil suo esile corpovenne ricoperto da un pugno di terra, quella terra di monte che aveva subito respirato attraverso i primi vagiti. Il cadavere rimarrà senza lapide, solo una vile scritta, che risuona beffarda:“era meglio tu non fossi mai nata”. Parole che si interrompono in gola, dure da digerire rimangono incastrate come bile tra le labbra e il cuore mentre lo stomaco scivola in un sordo lamento.Vocaboli pesanti come marmo, gelide lame incessantemente trafitte da inesauribili punti di domanda a cui presumibilmente non si avrà mai risposta.Doveroso riconoscimento alla gente di Cicogna per i saldi valori a cui erano ancorati, virtù che ha consentito nel corso del tempo di cavarsela sempre con estrema dignità .Relegata in un eterno esilio, definito oggi un piccolo paradiso di quiete, la capitale della Val Grande ci osserva come una madre severa, diluita nella sua immobile essenza, imperturbabile agli sguardi chiassosi dell'inumano progresso.

Filippo Spadoni


Bibliografia:* Conoscere la val Grande, l'alto Verbano e la valle Intrasca , De Agostini, Novara* Nino Chiovini - Cronache di terra lepontina.*  Alfonso Crivelli - Cicogna

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