Il canto è guerresco,ritmato, fatto per impugnare lance e battere il terreno come un tamburo, ma è una festa elettorale, a supporto di una donna. .Ne vedo il viso sopra un cartello ma non so leggerne il nome. Marco ci aveva avvertito : il potere femminile si fa strada e diventa egemone nell’ecclissi della pastorizia. Ed è anche un salto razziale : visi magri e occhi metallici, scuri con riflessi azzurrini, quasi lunari.
Una falange di forza e di gioia che si apre davanti alla nostra jeep e si richiude subito dopo averla oltrepassata. Per un attimo mi par di afferrare il senso della parola tribù.
Un villaggio con un’altra festa a supporto di un candidato. Tamburi cupi, un cerchio di gente a guardare. In mezzo, uomini che saltano più alto dei professionisti del basket. Volano letteralmente, l’inguine va oltre le mani sollevate degli spettatori.
Le donne guardano serissime i loro campioni : l’uomo che salta garantisce la continuità della specie, perché più alto si eleva, più lontano vede la selvaggina. (pag.84 - 85)
a cura di Marianna Micheluzzi