A cura di Dario Giordo
E dire che quest’anno non sarebbe dovuta nemmeno scendere in campo. E invece eccola lì: messi da parte i tentennamenti per colpa di un ginocchio capriccioso, Iara Zanna, 23 anni, middle linebacker delle Neptunes Bologna, si prepara ad affrontare il Rose Bowl Italia 2014, la finale nazionale del Cifaf. Con tanta grinta e la voglia di essere protagonista in campo.
Mancano pochi giorni al Rose Bowl: come si avvicinano le Neptunes all’appuntamento?
Qual è il tuo stato d’animo e quello delle tue compagne?
Vi sentite pronte?
“Sicuramente l’ansia e l’agitazione si fanno sentire, ormai manca davvero poco. Continuiamo i nostri allenamenti con impegno e sudore in attesa del fatidico giorno. Per ora cerco di rimanere tranquilla e concentrata, pensando solo a fare ciò che so fare senza sbagliare. «Testa bassa e facciamo quel che sappiamo fare», come dice sempre il nostro head coach “Klide” Biavati.”
Cosa significa per te giocare una finale nazionale?
“Un sogno che si avvera. Non avrei mai pensato che potessimo arrivare fino a qui, e invece i nostri sforzi sono stati ripagati. Le tensioni in campo e i duri allenamenti non sempre rendono giustizia a ciò che si fa. Con la partecipazione al Rose Bowl Italia posso dirlo: sono fiera di quello che siamo diventate.”
Uno sguardo alle prossime avversarie: cosa temi delle Fenici?
Regular season breve ma intensa: che campionato è stato secondo te fino a questo momento?
“Emozionante ed avvincente, e di sicuro non è stato una passeggiata, considerando che abbiamo incontrato avversarie tenaci e con tanta voglia di vincere. Per noi giocatrici è un campionato meraviglioso: ci alleniamo da settembre e ci consente di poter vedere gli sforzi e i progressi fatti. Vedere delle donne che fanno uno sport tradizionalmente maschile come il football spesso stupisce, ma siamo la dimostrazione che con impegno e volontà sappiamo farci valere anche noi.”
Le Neptunes sono la vera sorpresa della stagione o pensavate di arrivare fino in fondo? Cos’è cambiato rispetto all’anno scorso?
“Per carattere non mi aspetto mai nulla, e sinceramente non pensavo che saremmo arrivate in fondo. Parto sempre da zero a ogni partita: anche quando il punteggio è a nostro favore e la gara non è terminata, per me siamo sempre 0-0. Siamo state una sorpresa per tutti: il cambiamento è dovuto a noi e alla consapevolezza di voler arrivare fino in fondo. Sicuramente gli allenamenti estenuanti e l’unione della squadra nei momenti più difficili ci hanno reso più forti, più abituate a rimanere concentrate. Alla fine è arrivato il premio: ora siamo insieme a giocare la partita dell’anno.”
La partita più difficile che hai giocato quest’anno qual è stata?
“Ci sono due partite che mi sono rimaste impresse: a livello psicologico quella più impegnativa è stata a Pescara contro le Lobsters. È stato un match molto fisico, duro e veramente interminabile, ma siamo state in grado di non pensare a tutto ciò che ci circondava e a fare il nostro. Ho avuto qualche difficoltà nella semifinale contro le Sirene Milano: a livello personale è stata la prestazione che mi ha deluso maggiormente, ma c’è da dire che le nostre avversarie erano davvero forti. Forse c’è stata qualche incomprensione di troppo sui nostri assegnamenti difensivi: senza quelle il punteggio sarebbe potuto essere diverso, e magari non saremmo arrivate all’overtime.”
A proposito di overtime, cos’hai pensato in quel momento?
“Ammetto di essere andata un po’ nel panico, in tre anni da giocatrice non mi era mai capitato di arrivare ai supplementari e non sapevo bene cosa aspettarmi. È in quel momento che ho capito l’importanza di credere nelle proprie compagne: il nostro attacco era rilassato e calmo, e grazie alla sua concentrazione siamo riuscite a fare un touchdown fondamentale proprio nel momento del bisogno, e anche il fatidico punto che ci ha portato in finale.”
Sei fra i migliori linebacker del campionato per rendimento: qual è il segreto?
“Nessun segreto, solo duro impegno e tanta grinta, passione, competitività e cattiveria, oltre alla voglia di migliorarmi sempre di più. Ma non andrei da nessuna parte se al mio fianco non ci fossero le mie compagne, che mi stimolano a dare sempre di più. Una cosa che ho imparato grazie al football è che non siamo mai sole, ci si deve fidare delle compagne al 100%. Io gioco per loro, loro per me: insieme lavoriamo duramente per uno scopo comune.”
A inizio stagione sembrava che non dovessi giocare: qual è stata la molla che ti ha fatto cambiare idea?
“Il football è uno sport che forse più di altri richiede molto sacrificio, costanza e sudore. Ho iniziato tre anni fa e durante un allenamento mi ruppi il crociato: dopo l’operazione sono tornata in campo non appena è stato possibile, potendo così giocare anche la prima edizione del Cifaf. Una volta finita la stagione i problemi alle gambe sono però aumentati e mi sono convinta fosse meglio mettere da parte casco e paraspalle. Ma il football è come una droga, non riesci a farne a meno: quando non sei in campo ripensi alle emozioni stupende che ti regala e non puoi fare a meno di tornare sul sabbione della “Dozza”, il nostro campo d’allenamento, a spingere una slitta e a contare i secondi che mancano per fare il drill preferito o all’emozione di poter fare un’azione meravigliosa con le compagne di sempre. Forse è impossibile esprimere a parole ciò che il football riesce a darti.”
Più in generale, cosa ti ha spinto a giocare a football?
“All’inizio non ero interessata, non avrei mai pensato di poter giocare. Un giorno mentre a scuola facevo educazione fisica, i Neptunes, d’accordo coi docenti, si presentarono per fare reclutamento nel tentativo di avvicinare nuovi giovani al football. Mi fa sorridere ripensare a quell’episodio: non avevo capito assolutamente nulla di quello che spiegarono, ma sono competitiva e mi piace mettermi in gioco e così quando mi dissero «Tu? Giocare? Non ci credo neanche se ti vedo…» è scattata la molla: il lunedì successivo ero sul campo per iniziare un’avventura che ha cambiato la mia vita.”
Il sogno: Neptunes campionesse e Iara mvp. Scaramanzia a parte, come la vedi?
“Sarebbe una soddisfazione enorme diventare campionesse d’Italia: un sogno per me e per le mie compagne che se lo meritano dall’inizio alla fine. Ma sarebbe un sogno anche per chi ci sostiene allenamento dopo allenamento, per chi crede davvero in noi come i nostri coach. Senza di loro nulla di tutto questo sarebbe possibile, anche perché avere a che fare con venti donne tutte insieme non sempre è facile! Riguardo alla possibilità di essere nominata mvp del Rose Bowl Italia ha poca importanza: per me la cosa più importante è essere fiera delle mie compagne, di sapere che giocheranno al mio fianco sempre e comunque come hanno fatto finora.”
Qual è stato il momento più bello della stagione e quello invece più duro?
“Un’azione che non posso dimenticare: il mio primo touchdown su ritorno s’intercetto, contro le Lobsters. È stata una sensazione che ha ripagato in fondo tutti gli anni che ho dedicato al football. Ma c’è un altro momento che aspetto sempre dopo la vittoria: l’abbraccio con l’head coach. Sapere che lo rendiamo fiero per me è importantissimo, è il nostro modo per ripagare la fiducia che ripone in noi. Il momento più duro è stato quando dopo aver effettuato un placcaggio ho accusato il contraccolpo della botta, ed è capitato due volte. Temevo di non riuscire più a tornare in campo, e vedere le compagne dalla sideline è stato frustrante perché mi sono sentita impotente. Ecco perché nonostante la botta si facesse ancora sentire sono rientrata: non abbandonerò mai le Neptunes prima che le forze abbandonino prima me.”
Quanto ti piace giocare linebacker?
“Il ruolo del linebacker è abbastanza complesso, ma l’ho sempre sentito molto mio: è un ruolo che prevede impulsività e cattiveria, ma anche buone capacità di lettura del gioco. Mi piace perché in difesa non sai mai cosa aspettarti, e di conseguenza si tratta sempre di dover reagire a un’azione che si sta per sviluppare, col suo carico di attesa nel dover affrontare il contatto con un’altra persona. Amo il mio ruolo perché mi permette di avere la visione completa di tutto ciò che accade, vedere le formazioni avversarie e poter avvertire le mie compagne su ciò che ci troveremo ad affrontare.”
Una curiosità: sei molto affezionata al tuo numero di maglia, il 7: c’è un motivo particolare?
“Il 7 è stato un caso: non l’ho scelto, mi è stato dato. La differenza è che cosa io ora attribuisco a quella maglia: per me il 7 rappresenta speranza, determinazione e “sorellanza”, è la valvola di sfogo per mettere da parte i miei problemi e vedere una Iara vera al 100%, nel bene o nel male. Il 7 rappresenta anche un mio grande sogno: poter un giorno indossarlo con il mio cognome sopra e con i colori della nazionale italiana.”