Nessun colpevole, non solo, ma non ci sarà nemmeno l’istruzione di un processo. Dopo più di due anni di indagini, il pubblico ministero incaricato di investigare i fatti della miniera cilena di San José, dove proprio tre anni fa (era il 5 agosto 2010) trentatrè minatori rimasero intrappolati nelle viscere della terra per sessantanove giorni prima di essere salvati, ha deciso di archiviare e di non presentare imputazione alcuna.
Le accuse presentate all’indomani della frana, che riguardavano non solo i proprietari della miniera, ma anche il Sernageomin (Servicio Nacional de Geología y Minería), che venivano tacciati di negligenza sono cadute. Insomma, quello del 5 agosto fu solo un incidente prodotto dalla fatalità.
A non crederci per primi sono proprio i minatori, che in più occasioni avevano denunciato le condizioni precarie con cui svolgevano il loro lavoro. Nel 2006 nella miniera San José era morto un lavoratore e dal marzo 2007 al maggio 2008 le installazioni erano state chiuse proprio dal Sernageomin che le aveva ritenute non idonee e pericolose. Tutti fatti, oltre ad altri gravi incidenti sul lavoro, che i minatori ed i loro rappresentanti avevano sottolineato nei giorni della crisi. Lo stesso presidente Piñera al tempo era stato enfatico nel dichiarare che il governo avrebbe portato i responsabili in tribunale. La decisione del pubblico ministero confuta quindi ogni anteriore dichiarazione e cancella la possibilità di un procedimento processuale penale, mettendo in pericolo anche l’azione civile per i risarcimenti richiesti dai minatori.
Risarcimenti su cui contano i trentatrè, che dal giorno dell’incidente hanno visto le loro vite radicalmente cambiate. Dopo l’iniziale popolarità e gli inviti in mezzo mondo, i minatori sono tornati a vivere la vita di tutti i giorni, con un trauma psicologico difficile da superare ed un arduo reinserimento nel mondo del lavoro. Ognuno di loro ha ricevuto 13000 dollari per i diritti cinematografici del film sulla vicenda, più un bonus di 10000 dollari, un regalo del miliardario cileno Leonardo Farkas. Dopo tre anni, però, i soldi cominciano a scarseggiare. Da qui la speranza che almeno il processo civile, con la richiesta del risarcimento di mezzo milione di dollari per ognuno giunga a buon fine. In seguito al non procedere del procedimento penale, i minatori hanno annunciato che porteranno il caso davanti all’Organizzazione Internazionale del Lavoro.
Intanto, la miniera San José ha chiuso i battenti. La società che la gestiva (la San Esteban SA) ha presentato domanda di fallimento e parte dell’accordo giudiziario prevede la vendita delle sue installazioni. Se così fosse, la miniera potrebbe tornare ad operare per continuare l’estrazione del rame di cui è ricco il giacimento di Copiapó su cui sorge la San José. Insomma, risolti i vari cavilli burocratici, è probabile che tutto tornerà come prima.