Cima da Conegliano, poeta del paesaggio: arrivare nella sua città con il treno, dopo aver visto dai finestrini spuntare lo storico Castello che domina il gruppo di case ammassate ai suoi piedi, le colline ondulate intorno, sfumate fino a perdersi nell’orizzonte di nuvole e montagne azzurrine; scendere dal treno, visitare il centro della città fitto di portici e palazzi eleganti e ben restaurati, scegliere per fare questo una brillante giornata primaverile che rallegra ed euforizza dopo un inverno lungo come quello appena trascorso: ecco, tutto questo è quanto pone nelle migliori condizioni d’animo per godersi appieno la mostra di Giovanni Battista, detto Cima dal mestiere del padre, “cimatore” di panni. Perchè Cima è nato qui, e, quasi in ognuno dei quadri, riporta sullo sfondo nitidi e vivi, riconoscibilissimi dettagli di questo stesso paesaggio che abbiamo appena visto con i nostri occhi, anche se in parte modificato da trascorrere del tempo.
L’esposizione attualmente a Palazzo Sarcinelli vuole ricondurre il pittore a casa sua; si tratta di un allestimento molto esauriente e ben articolato, in cui possiamo ammirare le sue tipiche pale d’altare, le Madonne affettuose, e poi soggetti religiosi svariati accanto ai più rari temi mitologici.
Il destino di questo pittore è stato quello di essere oscurato da altri formidabili protagonisti del suo tempo, quali i fratelli Bellini, figli di Jacopo, nati prima di lui, ed il carismatico e misterioso Giorgione da Castelfranco, più giovane di tutti, che però li precedette nella morte precoce.
Diversamente da altri artisti, dopo un periodo di apprendistato ed affinamento la sua arte serena non ebbe importanti evoluzioni o cambiamenti di rilievo; ma il suo stile limpido e la sua tecnica sicura non lo fanno affatto sfigurare accanto ai pittori citati prima, gli fanno guadagnare un posto un po’ defilato ma di tutto riguardo.
Le sue Madonne possono essere più umane e affettuose di quelle di Gentile Bellini, dialogano con il bambino, variano atteggiamenti e portano sul mantello e sul velo piccoli tocchi di femminile eleganza.
Con i Bellini e con Giorgione, Cima si apre al paesaggio, che nei suoi sfondi ha sempre riferimenti precisi e riconoscibili; anche Cima porta il sacro a incarnarsi nel mondo, compiendo a suo modo un passo nel percorso del Rinascimento.
Cima non possiede il fascino dell’ambigua e modernissima malinconia di Giorgione; poche delle sue immagini sacre sono toccate da inquietudini o drammi, anche se affiora pure tra le sue architetture qualche incrinatura, e negli sguardi dei suoi personaggi una riflessione profonda o triste.
Ma visitare la sua arte fa bene allo spirito, perchè lo spettatore assorbe l’equilibrio delle sue figure intagliate contro cieli limpidi, sotto architetture e pergolati d’uva, e respira con i suoi paesaggi sereni.
I volti delle sue Madonne e dei suoi santi sono tranquilli ma non sono affatto inespressivi né stereotipati: c’è uno studio attento nel definire e differenziare occhi e sguardi, minuscole pieghe accanto alle labbra o rughe scolpite con decisione, incarnati lisci o intaccati dall’età.
La luce esalta le figure, sfumature variabili d‘ombra arrotondano i corpi. Cima sa mescolare le tinte con sapienza, e non ha bisogno di sostenersi con linee nei paesaggi di sfondo, che vivono in tocchi di puro colore: chiaramente, un passo verso la rivoluzione tonale della pittura veneziana che culmina con Tiziano, dopo l’importante esperienza di Giorgione.
Dopo aver visitato la mostra, è bello uscire all’aperto e riscoprire il paesaggio dei colli coneglianesi con l’occhio sensibilizzato dalla magia dell’arte, che scompone i nostri parametri abituali e ci rende aperti verso nuove alchimie della mente.