Quando, nel 1880, poteva considerarsi definitivamente conclusa la campagna contro l’Indio, iniziavano ad installarsi in Argentina le prime ondate di immigranti. In queste circostanze, all’insegna dell’ibridazione e del meticciato, si costituì il fenomeno culturale più caratterizzante della nazione: il tango. Su entrambe le sponde del Río de la Plata, tra Buenos Aires e Montevideo, i neri organizzavano, già dai primi anni dell’ottocento, feste chiamate candombes, all’interno delle quali venivano istituiti balli di gruppo detti tambos, o tangos. Le musiche che li accompagnavano erano contraddistinte da una ricchezza ritmica in contrasto con scarse e brevi frasi melodiche.Verso la fine del secolo, con le merci provenienti da Cuba sbarcò anche la habanera, musica melodica in due quarti, facilmente ballabile. Questi elementi, assieme al Valzer, di origine europea, e la Milonga, proveniente dall’interno del paese, fondendosi vanno a costituire l’ossatura ritmica e melodica del tango.Anche la danza sembra affondare le sue origini nell’esigua componente nera della società argentina: all’epoca dei candombes, infatti, fra i criollos faceva scalpore l’ombligada, danza considerata sguaiata ed azzardata e, per questo motivo, condannata in varie occasioni sia dal clero che dalle classi alte. Nel 1852 la minoranza nera che abitava nei pressi di Buenos Aires (e già!), dopo l’espulsione di Rosas, era stata segregata negli ormai mitici quartieri di San Telmo e Montserrat, ai bordi della città, in cui iniziavano ad incorporarsi anche gli immigrati ed i compadres, argentini di seconda generazione ed oltre, ex combattenti o semplicemente gauchos trasferitisi in città. Le antiche ed ampie dimore coloniali, ora dette conventillos, vengono suddivise in piccoli appartamenti, in cui la milonga si suona al ritmo delle percussioni di origine africana e si inizia a ballare come una sorta di habanera ma con cortes y quebradas, ovvero interrompendo e riprendendo di scatto la danza nell’intento di dimostrare abilità nell’improvvisare le figure. L’uomo dirigeva il passo comunicando con la donna attraverso una lieve pressione della mano destra sulla schiena di lei, che aveva il compito di seguire ed intuire le figure successive, infatti la peculiarità del tango sta nel non essere una danza con figure prestabilite, nel non avere mai maturato sequenze fisse al contrario degli altri balli di sala. E’ opinione diffusa che i tanghi non fossero, da principio, corredati da testi; in verità il canto era un elemento presente fin dall’inizio, pur essendo pressappoco improvvisato o comunque di poche pretese, monotono o scherzoso, spesso scurrile; ma quando Carlos Gardel, nel 1917, cantò per la prima volta Mi noche triste al teatro Esmeralda, creò lo stile, il canone del tango-canción, pur trattandosi di un brano musicale già noto cui erano state aggiunte le parole: tutte le norme basilari in materia di canto, lessico e tematiche del testo vengono fissate a partire da quella prima interpretazione e da essa si dirama ed accresce il genere.
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