Entro il 2017 la Cina investirà 176 miliardi di euro per ridurre l’inquinamento atmosferico. Previsti anche nuovi posti di lavoro e l’aumento del Pil.
(everydayclimb.wordpress.com)
L’investimento, che è stato deciso dal Governo cinese nel settembre scorso, creerà almeno 2 milioni di posti di lavoro e farà crescere il Pil di quasi 250 miliardi di euro, superiore al prodotto interno lordo 2012 di molti Paesi come Israele e il Portogallo. Il 36% degli investimenti sarà destinato alla ristrutturazione delle industrie, il 28,25 sarà destinato alle fonti rinnovabili, il resto dovrebbe essere impiegato della riconversione dei sistemi di trasporto, con l’eliminazione e la sostituzione dei veicoli più inquinanti.
Nel 2013 l’inquinamento in Cina ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 50 anni: un tributo ormai riconosciuto intollerabile sacrificato a decenni di crescita economica incontrollata. Uno dei massimi livelli di inquinamento si è registrato a Pechino con un’aria quasi irrespirabile che i cinesi definiscono “zuppa di piselli” ed una visibilità talmente ridotta che i turisti si fanno fotografare di fronte a gigantografie fotografiche di palazzi storici e monumenti, che altrimenti l’obiettivo della macchina fotografica non potrebbe cogliere attraverso il fitto velo di nebbia che pervade tutta la città.
In diverse città del Paese le municipalità hanno dovuto chiudere gli aeroporti, le scuole e vietare la circolazione delle auto. Lo scorso venerdì, la concentrazione di poveri sottili nell’aria di Shangai è salito a 214 microgrammi per metro cubo, tre volte il limite nazionale cinese, una situazione di forte rischio che ha indotto le autorità a suggerire a bambini ed anziani a non uscire di casa.
Il Piano quinquennale del Governo prevede, così, di ridurre l’inquinamento nelle principali città almeno del 10% entro il 2017. Tra le misure che verranno adottate anche quella di vietare la cottura dei cibi in strada, un’abitudine della popolazione cinese che sembra non abbia accettato di buon grado la nuova norma, che va contro “la tradizione della cucina cinese”