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La trama (con parole mie): siamo negli anni della Grande Depressione, ed il pugile James Braddock, promettente aspirante al titolo dei massimi prima del crollo del 1929 si ritrova senza un soldo, finendo a lavorare al porto seguendo turni massacranti, infortunato alla sua potente mano destra ed incappato in una serie impressionante di incontri mediocri e quasi sempre persi ai punti.Quando, a seguito di un'occasione fortuita, il suo vecchio manager Joe Gould lo riporta ad alti livelli promettendogli un ultimo incontro per un compenso che gli permetta di saldare i suoi debiti, Braddock accetta, senza sapere che quello sarà l'inizio di una delle favole sportive più incredibili di tutti i tempi: sconfiggendo uno dopo l'altro pugili più giovani e quotati, l'uomo si ritroverà infatti ad essere di nuovo lo sfidante numero uno per il titolo detenuto dal temibile Max Baer, i cui colpi dalla potenza devastante erano già costati la vita a due pugili e l'alloro di campione a Primo Carnera.James Braddock diverrà, a quel punto, un simbolo per una nazione in ginocchio e per la gente comune, e spinto dall'affezione che la stessa prova per lui, deciderà di accettare la sfida più dura della sua carriera, e non solo.
Spinto dalla presenza del sacco giunto in casa Ford in occasione del mio ultimo compleanno e dalla nostalgia perenne degli anni in cui la visione della saga di Rocky era un passaggio obbligato ogni paio di mesi, ho riscoperto nell'ultimo periodo il genere pugilistico nel Cinema, andando a scovare le pellicole che ancora mancavano alla voce "già viste": così, dopo aver assaporato il lato "legal" grazie al solido Hurricane, mi sono gettato a capofitto nella vicenda tutta stelle e strisce, sudore e lacrime di James Braddock, pugile e uomo di cuore e tutto d'un pezzo finito sul lastrico a seguito della crisi che nel 1929 mise in ginocchio gli Usa che finì per diventare uno dei simboli della ripresa e del concetto di seconda possibilità tanto caro ai nostri amici oltreoceano firmata da Ron Howard, regista discontinuo nel risultato ma sempre e comunque buon artigiano del Cinema, specialmente nell'ambito del biopic, come provato dal successo del discreto A beautiful mind, pellicola che ebbe un notevole riscontro all'Academy e confermò le doti di Russell Crowe, autore di un'interpretazione decisamente superiore a quella fin troppo celebrata de Il gladiatore, qui di nuovo al lavoro con l'ex Cunningham di Happy Days.
Giocando il tutto per tutto sulle emozioni e la presa che un protagonista in pieno stile Balboa come James Braddock può esercitare sul pubblico, Howard spinge a fondo sul pedale dell'emotività fin dalle prime scene, rimanendo abilmente in bilico sul filo sottilissimo che separa la retorica di grana grossa dalla capacità di coinvolgere confezionando un prodotto assolutamente patinato e classico nella peggiore accezione che il mio acerrimo rivale Cannibale può immaginare eppure solido e convincente, rispettoso della storia del suo protagonista ed assolutamente scorrevole nonostante un minutaggio consistente.
Volendo osare, il regista avrebbe addirittura potuto anche tagliare meno in fase di post produzione allungando la pellicola quel tanto che sarebbe bastato per approfondire alcuni passaggi legati al momento storico soltanto accennati nel montaggio finale - non viene infatti mostrato nulla del momento del crollo della borsa e della rovina economica di Braddock, così come brevi e poco incisivi risultano gli accenni ai problemi di ordine pubblico, legati principalmente alla figura dell'amico Mike, anche lui travolto dalla Grande Depressione e finito a lottare contro la polizia ad Hooverville, campo di disperati che prese forma nel cuore di Central Park -, fornendo uno spessore maggiore alla sceneggiatura, ben costruita ma decisamente accademica.
Ma, a ben guardare, l'interesse di Howard non è quello di portare sullo schermo una cronaca, bensì l'epopea di un uomo giunto a non avere nulla e, grazie ad una possibilità fortuita, tornato dall'ombra dell'anonimato a calcare i palcoscenici più grandi della storia della boxe, in barba all'età, al parere contrario della Commissione e all'iniziale scetticismo della stampa, che finì per sfruttare il grande ritorno di Braddock quasi fosse l'esempio di cui la gente della strada aveva bisogno per poter credere che l'economia si sarebbe ripresa, e le cose sarebbero tornate a funzionare.
In parallelo, e con una certa ispirazione alla fortuna che fece lo Stallone italiano di Sly, la pellicola si concentra sulla famiglia di Braddock, dai timori della moglie per la salute del marito ai valori che lo stesso pugile lotta per tramandare ai figli anche nei momenti più difficili - il salame rubato e riportato al negoziante, i soldi del sussidio restituiti con l'incasso della prima borsa importante dopo il ritorno in scena -, mantenendo ai margini un convincente Paul Giamatti nel ruolo di Joe Gould ed il temibile Max Baer, che assume i connotati del villain neanche ci trovassimo in un film d'avventura.
Personalmente, oltre alle sequenze sul quadrato - certo, Toro scatenato resta il meglio che il genere possa offrire -, decisamente ben realizzate, ho apprezzato molto il lato "sociale" della pellicola, e la sincera rappresentazione della sofferenza di un uomo dai valori solidi messo all'angolo da un avversario più dirompente di ogni colpo alla testa, quello della povertà dettata da un'economia che non guarda in faccia a nessuno - o quasi - e che, in tempi come i nostri, torna prepotentemente d'attualità: il passaggio dell'elemosina chiesta da Braddock ai membri della Commissione resta uno dei più toccanti di un film che molti avranno sottovalutato - io stesso, temendo la consueta baracconata made in Usa, l'avevo snobbato fino ad ora - e che, al contrario, porta a casa il suo risultato lottando dal primo all'ultimo minuto senza paura di mostrare il fianco, prendersi qualche colpo per restituire tutto con gli interessi, in un crescendo tradizionale nell'esecuzione ma non per questo meno coinvolgente.
E con James Braddock, il bulldog di Bergen, New Jersey, lottiamo tutti noi che sudiamo per arrivare a fine mese sperando che le cose non si facciano troppo dure, confidando un giorno o l'altro di lasciare ai nostri figli, oltre ad una lezione di vita, anche un tetto e qualche soldo tenuto da parte.
E tutto l'amore e la passione che una famiglia possa offrire.
Al contrario dei pugni, quelli non fanno mai male.
MrFord
"I'm proud New Jersey is my home
Yeah said I'm proud now New Jersey is my home
They're closing all the factories making people lose their jobs
While the fat cats get rich living high upon the hog."Bruce Springsteen - "New Jersey is my home" -
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